Accordo tra il premier e i centristi. Federazione alla Camera, lista unica al Senato
Mario Monti comincia a masticare di politica. L’ha dimostrato quando, in conferenza stampa, ha voluto mascherare l’unico punto su cui è finito in minoranza nel lungo vertice celebrato nel conventodelle suore di Sion sulle pendici del Gianicolo.
«Mi è stata proposta una lista unica anche per la Camera...», ha detto il premier. Invece non è andata esattamente così. Sono stati Pier Ferdinando Casini e i rappresentanti di Italia Futura, Carlo Calenda e Andrea Romano (Montezemolo è negli Usa) a convincere il professore che la formula della coalizione fosse «la più appropriata». Monti, comunque, ha giocato la partita con garbo e diplomazia, evitando il muro contro muro. Ha introdotto l’argomento lasciando aperte le due possibilità. Poi ha fatto partire un giro di tavolo. Casini, con altrettanto garbo e diplomazia, ha alzato la bandiera identitaria: «Il mio partito ha una sua storia, ha resistito per anni in solitudine a un bipolarismo brutale e ora che questo bipolarismo collassa, ora che siamo protagonisti del cambiamento, non possiamo cancellare l’Udc. Tanto più che ci sono migliaia di amministratori pronti a collaborare per l’affermazione dell’agenda Monti e che il simbolo dello Scudocrociato ha un suo peso che non può essere trascurato».
DIVERSIFICARE L’OFFERTA
Sulla stessa linea, ma sull’altro lato del fronte, Calenda e Romano. I plenipotenziari di Montezemolo hanno fatto presente che «è meglio diversificare l’offerta». Che il modo migliore per contrastare il vento dell’antipolitica «è non mischiare la società civile con i politici». Il vecchio con il nuovo. Ancora più chiaro: chi è disposto a votare per una lista civica espressione della società civile, non voterebbe una lista con dentro i politici. Insomma: si andrebbe incontro a una perdita secca, «senza riuscire a conquistare astenuti e indecisi».
Non sono mancati interventi a favore della lista unica. In primis, quello di Corrado Passera. Le parole: «Sarebbe assurdo andare uniti al Senato e divisi alla Camera, scatterebbe una lotta fratricida. I nostri elettori non capirebbero. E poi con la lista unica si crea una massa critica capace di conquistare il voto utile, quello di chi vota solo per il partito vincente». Ma poi è saltato fuori anche l’argomento della par condicio: con più liste si moltiplicano gli spazi in tv. E quello della «capillarità»: con più candidati «il territorio potrà essere battuto palmo a palmo».
A questo punto Monti ha tirato le somme: «Beh, mi sembra doveroso constatare che si va verso un’aggregazione tra più soggetti». E a questo punto Passera ha annunciato il suo passo indietro: «A queste condizioni io non mi candido». C’è chi ha provato a far cambiare idea al ministro per lo Sviluppo. Ma è andato a sbattere contro un no granitico. Almeno per ora. Nella saletta del convento delle suore di Sion in via Garibaldi (la location iniziale erano i locali della comunità di Sant’Egidio, ma visto che la notizia era filtrata all’ultimo momento è stata chiesta ospitalità alle suore) si è parlato di sondaggi: «Siamo tra il 20 e il 28%, siamo il secondo partito». E si è parlato soprattutto di «liste pulite». «Vigilerò su ogni candidatura», ha avvertito Monti, «non si potrà candidare chi è condannato, chi ha conflitti di interesse e chi è stato in Parlamento già per 15 anni». E ha ottenuto carta bianca. Così come sulle «regole di coabitazione». Tant’è, che Monti è già a lavoro su un codice etico e sullo statuto. Nelle quattro ore di vertice non è stato fatto invece alcun accenno a Silvio Berlusconi. Non si è parlato di Pier Luigi Bersani. Ma si è parlato del Pd. L’ha fatto Pietro Ichino: «Dal mio ex partito altri verranno. Ci sono anche alcuni deputati e senatori vicini a Matteo Renzi che potrebbero arrivare...». Monti l’ha stoppato: «Le nostre porte sono aperte per chi vuole le riforme, ma non dobbiamo lanciarci in operazioni ostili».
LA STRATEGIA DEL PREMIER
Poi, il professore ha delineato la sua strategia: «Non c’è tempo per fondare un partito, dobbiamo lavorare con il respiro breve delle elezioni guardando al futuro». E in quel futuro Monti ha descritto un Partito popolare di stampo europeo, in grado di soppiantare il Pdl. Ancora: «Non voglio fare un partito personale, i partiti non si improvvisano. Per questo il riferimento deve essere alla mia agenda, non a me». Da qui la conferma che il nome della coalizione sarà «Agenda Monti per l’Italia». Infine, l’indicazione strategica: «Il nostro obiettivo non è strappare voti al Pdl o al Pd, dobbiamo intercettare il consenso di quel 40% di italiani che non vanno più alle urne». Il partito dell’astensione, il fronte dell’antipolitica.
Oggi si fa il bis. Nuovo vertice tecnico alle 13 per decidere del simbolo e la nascita di una fondazione (con presidente, tesoriere, ecc.) su cui incardinare la coalizione.
FONTE: Alberto Gentili (ilmessaggero.it)