Al simposio di Londra l'interrogativo dominante è sul dilemma dei costi e della sostenibilità dei sistemi santitari. Finanziare globalmente la terapia antiepatite prosciugherebbe i fondi destinati ad altre patologie. La questione dell'accessibilità tra Regioni e in Europa per limitare i viaggi della speranza
"ORA possiamo guarire i nostri malati, finalmente ". "Ma i soldi per le nuove cure non ci sono, costano sino a 100 mila euro a paziente". "Un miracolo: trenta anni fa davo solo sentenze di morte ai pazienti, poi riuscivo a salvarne qualcuno, se sopravviveva ai farmaci". "Ma se li curiamo tutti, come ci impone il giuramento d'Ippocrate, mancheranno i soldi per il cancro, l'infarto e le altre malattie". "È una rivoluzione scientifica ... ma chi salviamo prima?". "Quanto costa ora un malato di epatite C?".
Sono i brandelli dei dibattiti che si colgono passando tra i capannelli in cui si aggregano i 10 mila delegati, tutti specialisti delle malattie del fegato, quando sciamano dal buio delle enormi aule dell'International Liver congress di Londra della scorsa settimana. I più emozionati sono i medici anziani.
Trent'anni fa lo sgomento per lo scontro con una nuova infezione del fegato. La "vecchia" epatite A faceva diventare gialli e guariva da sola in pochi mesi. La nuova invece assomigliava alla B, scoperta poco prima e per la quale non c'era cura. Anche il nuovo virus lavorava in silenzio per decenni. L'infezione si scopriva, e si capiva che quella persona era pure contagiosa, quando, in alcuni di questi malati, il fegato non disintossicava più il sangue (l'insufficienza epatica) e si riduceva a un piccolo ammasso indurito di cicatrici (la cirrosi).
L'intossicazione endogena spegneva il cervello di questi malati, ormai simili a rane per la pancia gonfia di acqua e gli arti sottili, senza più muscoli. Oppure partiva un cancro nel fegato. Diagnosticare l'epatite C era un incubo anche per i medici. Oggi invece, dai megaschermi delle aule i dati delle sperimentazioni su migliaia di malati annunciano guarigioni ed eradicazione del virus, termini rari in medicina.
Il virus si scopre 25 anni fa e si battezza HCV (Hepatitis C Virus), il terzo a causare infezioni epatiche dopo lo A e il B. È meno aggressivo del B e quindi meno frequente il contagio per via sessuale, anche se la morte della pornostar Moana Pozzi ricorda che può avvenire. Si trasmette meglio per contatto sangue/sangue. Esplode tra i tossicodipendenti che riusano le siringhe. HCV però sopravvive ai sistemi di sterilizzazione allora in uso. Lo si scopre tardi: la maggior parte delle infezioni è da trasfusioni e per qualunque atto chirurgico o medico comporti anche piccoli sanguinamenti. Basta una iniezione intramuscolo, la bollitura della siringa di vetro e gli aghi che allora si riusavano non uccide l'HCV.
Per questo oggi abbiamo nel mondo 185 milioni di infettati (stime Oms di questo aprile) con 350 mila decessi l'anno. In Italia si ipotizzano 1,2 milioni di infetti di cui 200-300 mila hanno la cirrosi e 8 mila muoiono ogni anno. "Oggi i nuovi casi sono crollati - spiega Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell'Istituto Nazionale per le Malattie Infettive L. Spallanzani di Roma - Ma il rischio non è zero. Vanno usati strumenti "usa e getta", o scrupolose procedure di sterilizzazione per tatuaggi, piercing e altre pratiche in cui può verificarsi fuoriuscita di sangue". Come può succedere dall'estetista o dal podologo.
Le prime cure rallentavano l'evoluzione maligna. "Poi c'è stato l'Aids - ricorda Ippolito - E finanziamenti pubblici alla ricerca come non si erano mai visti prima, soprattutto americani, e ben coordinati, che hanno rivoluzionato la ricerca sulla malattie infettive e partorito cure efficaci per l'Aids. Il cui virus, l'HIV, è un parente stretto dell'HCV, e la strada verso la cura dell'epatite C è diventata un'autostrada".
In pochi anni la terapia si è arricchita di altri farmaci sempre più efficaci. La svolta quest'anno quando diventa disponibile negli Usa il sofosbuvir, il primo farmaco della nuova generazione e qui a Londra sono illustrati
i risultati dei nuovi farmaci simili. Guariscono il 96-100% dei casi a seconda del ceppo virale (ma arriveranno anche i farmaci per i pochi ceppi ora insensibili), effetti collaterali rari e lievi, la cura una pillola al giorno per 2-3 mesi non più anni di flebo sotto osservazione medica. Costo 84.000 dollari. Negli Usa il sofosbuvir si è già portato via 2,4 miliardi di dollari. Se il prezzo della nuova famiglia di farmaci in Europa sarà simile assorbirebbe sino alla metà dei 100 miliardi di euro del fondo sanitario italiano. Tutti i paesi europei si stanno ponendo il problema.
"Curiamo prima chi non può aspettare propone Graham Foster della Queen Mary University of London - Prima i trapiantati di fegato reinfettati e quelli che lo stanno per fare (in Italia circa 500 per anno n. d. r.), poi i cirrotici avanzati, poi quelli in fase iniziale. Ci sono anche le donne con l'HCV che vogliono avere un figlio. Poi tutti gli altri".
"Quale sia la scelta - si sentiva ripetere nei capannelli dei medici italiani - deve essere la stessa per le regioni italiane e per i paesi europei. A meno di innescare milioni di "viaggi della speranza" in Italia e in Europa".
Sono i brandelli dei dibattiti che si colgono passando tra i capannelli in cui si aggregano i 10 mila delegati, tutti specialisti delle malattie del fegato, quando sciamano dal buio delle enormi aule dell'International Liver congress di Londra della scorsa settimana. I più emozionati sono i medici anziani.
Trent'anni fa lo sgomento per lo scontro con una nuova infezione del fegato. La "vecchia" epatite A faceva diventare gialli e guariva da sola in pochi mesi. La nuova invece assomigliava alla B, scoperta poco prima e per la quale non c'era cura. Anche il nuovo virus lavorava in silenzio per decenni. L'infezione si scopriva, e si capiva che quella persona era pure contagiosa, quando, in alcuni di questi malati, il fegato non disintossicava più il sangue (l'insufficienza epatica) e si riduceva a un piccolo ammasso indurito di cicatrici (la cirrosi).
L'intossicazione endogena spegneva il cervello di questi malati, ormai simili a rane per la pancia gonfia di acqua e gli arti sottili, senza più muscoli. Oppure partiva un cancro nel fegato. Diagnosticare l'epatite C era un incubo anche per i medici. Oggi invece, dai megaschermi delle aule i dati delle sperimentazioni su migliaia di malati annunciano guarigioni ed eradicazione del virus, termini rari in medicina.
Il virus si scopre 25 anni fa e si battezza HCV (Hepatitis C Virus), il terzo a causare infezioni epatiche dopo lo A e il B. È meno aggressivo del B e quindi meno frequente il contagio per via sessuale, anche se la morte della pornostar Moana Pozzi ricorda che può avvenire. Si trasmette meglio per contatto sangue/sangue. Esplode tra i tossicodipendenti che riusano le siringhe. HCV però sopravvive ai sistemi di sterilizzazione allora in uso. Lo si scopre tardi: la maggior parte delle infezioni è da trasfusioni e per qualunque atto chirurgico o medico comporti anche piccoli sanguinamenti. Basta una iniezione intramuscolo, la bollitura della siringa di vetro e gli aghi che allora si riusavano non uccide l'HCV.
Per questo oggi abbiamo nel mondo 185 milioni di infettati (stime Oms di questo aprile) con 350 mila decessi l'anno. In Italia si ipotizzano 1,2 milioni di infetti di cui 200-300 mila hanno la cirrosi e 8 mila muoiono ogni anno. "Oggi i nuovi casi sono crollati - spiega Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell'Istituto Nazionale per le Malattie Infettive L. Spallanzani di Roma - Ma il rischio non è zero. Vanno usati strumenti "usa e getta", o scrupolose procedure di sterilizzazione per tatuaggi, piercing e altre pratiche in cui può verificarsi fuoriuscita di sangue". Come può succedere dall'estetista o dal podologo.
Le prime cure rallentavano l'evoluzione maligna. "Poi c'è stato l'Aids - ricorda Ippolito - E finanziamenti pubblici alla ricerca come non si erano mai visti prima, soprattutto americani, e ben coordinati, che hanno rivoluzionato la ricerca sulla malattie infettive e partorito cure efficaci per l'Aids. Il cui virus, l'HIV, è un parente stretto dell'HCV, e la strada verso la cura dell'epatite C è diventata un'autostrada".
In pochi anni la terapia si è arricchita di altri farmaci sempre più efficaci. La svolta quest'anno quando diventa disponibile negli Usa il sofosbuvir, il primo farmaco della nuova generazione e qui a Londra sono illustrati
i risultati dei nuovi farmaci simili. Guariscono il 96-100% dei casi a seconda del ceppo virale (ma arriveranno anche i farmaci per i pochi ceppi ora insensibili), effetti collaterali rari e lievi, la cura una pillola al giorno per 2-3 mesi non più anni di flebo sotto osservazione medica. Costo 84.000 dollari. Negli Usa il sofosbuvir si è già portato via 2,4 miliardi di dollari. Se il prezzo della nuova famiglia di farmaci in Europa sarà simile assorbirebbe sino alla metà dei 100 miliardi di euro del fondo sanitario italiano. Tutti i paesi europei si stanno ponendo il problema.
"Curiamo prima chi non può aspettare propone Graham Foster della Queen Mary University of London - Prima i trapiantati di fegato reinfettati e quelli che lo stanno per fare (in Italia circa 500 per anno n. d. r.), poi i cirrotici avanzati, poi quelli in fase iniziale. Ci sono anche le donne con l'HCV che vogliono avere un figlio. Poi tutti gli altri".
"Quale sia la scelta - si sentiva ripetere nei capannelli dei medici italiani - deve essere la stessa per le regioni italiane e per i paesi europei. A meno di innescare milioni di "viaggi della speranza" in Italia e in Europa".
FONTE: Arnaldo D'Amico (repubblica.it)
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