mercoledì 27 maggio 2015

“Tokyo è la città più sicura al mondo”

 
Nel report pubblicato dall’Economist Milano è 26ª, Roma 27ª. Zurigo il top per infrastrutture e sanità
 
La città più sicura al mondo? Tokyo. E quella più sicura in quanto a infrastrutture e sicurezza sanitaria? Zurigo. Risultati che non emergono dal Guinness dei primati, ma dal «The Safe Cities Index 2015», un rapporto stilato dall’Economist Intellingence Unit, centro di ricerca del settimanale inglese «The Economist». 
 
Il report  
Lo studio – sponsorizzato dalla multinazionale giapponese dell’energia NEC – si base su più di 40 differenti indicatori (quantitativi e qualitativi) che rientrano in 4 diverse categorie di studio legati alla sicurezza: in campo digitale, nella sanità, nelle infrastrutture e personale. La ricerca, nello specifico, ha stilato 4 classifiche parziali e una globale per decretare la «città più sicura» in assoluto. 
 
Le categorie  
I dati riferiti alla sicurezza digitale, in particolare, hanno preso in considerazione elementi quali la presenza di team di sicurezza digitale e la frequenza delle rapine informatiche; mentre la sicurezza sanitaria ha analizzato dati come il numero di posti letto in base alla popolazione e l’aspettativa di vita. Inoltre, se nelle infrastrutture si è preso in considerazione la qualità delle strade e il numero di morti a causa di disastri naturali, in quelle personale l’obiettivo della ricerca verteva sui livelli di crimine e il livello di attività della polizia.  
 
Il ranking mondiale  
La capitale giapponese, oltreché nella classifica globale, è risultata la più sicura anche in quanto a sicurezza digitale (davanti a Singapore e New York); mentre si è piazzata in ottava posizione in quanto a sicurezza sanitaria (prima Zurigo davanti a New York e Bruxelles), quinta nella voce infrastrutture (Zurigo, Melbourne, Sydney) e terza dietro a Singapore e Osaka in quella legata alla sicurezza personale. Tuttavia, se oltre a quello sulla sicurezza, le città vengono comparate con altri indici dell’Economist (come qualità e costo della vita), i risultati cambiano e le città canadesi balzano in testa, con Toronto e Montreal davanti a Stoccolma, Amsterdam e San Francisco. 
 
Le italiane  
La città italiana più sicura in assoluto è risultata essere Milano (26ª davanti a Roma, 27ª). Il capoluogo lombardo è risultato più sicuro rispetto alla Capitale anche in quanto a sicurezza digitale (26°, Roma 35ª) e personale (27° rispetto alla quarantesima posizione di Roma), mentre nella sanità e nelle infrastrutture i ruoli sono stati invertiti: Roma rispettivamente in 25ª in 18ª posizione davanti a Milano in 27ª e 23ª.
 
FONTE: Nicola Busca (lastampa.it)

sabato 23 maggio 2015

Cassazione, rischio carcere per gli insulti su Facebook

La Corte di Cassazione (Eidon)
 
 
La Suprema Corte ha stabilito che per le offese sui social la competenza non è del giudice di pace ma del tribunale, dove il reato è punito con la reclusione fino a tre anni
 
La Cassazione ha deciso: rischia il carcere chi denigra e offende su Facebook. All’origine della sentenza, la burrascosa separazione di una coppia, in particolare gli insulti postati sul social network dall’ex marito nei confronti dell’ex moglie. Ne è nato un processo per diffamazione con rimpallo tra giudice di pace e tribunale: una questione non di poco conto per gli attaccabrighe del web, perché mentre il primo applica soltanto sanzioni pecuniarie, l’altro può anche infliggere il carcere. Per la precisione, nel caso di diffamazione aggravata, la reclusione da sei mesi a tre anni.
 
Il nodo della pubblicità
 
Il processo all’inizio era stato incardinato davanti al giudice di pace di Roma, che ha dichiarato la sua incompetenza ritenendo la diffamazione su Facebook aggravata dal mezzo della pubblicità e quindi di competenza del tribunale. Ma qui il collegio ha accolto le argomentazioni dell’avvocato dell’ex marito, Gianluca Arrighi, stabilendo che Fb non può essere paragonato a un blog o a un quotidiano online, visionabile da chiunque sulla rete, e che pertanto la competenza è del giudice di pace. Gli atti, di conseguenza, sono stati trasmessi alla Corte Suprema per la risoluzione del conflitto.
 
Il rischio carcere
 
Gli ermellini, dopo una lunga camera di consiglio, hanno invece deciso, in via definitiva, che la diffamazione su Facebook deve essere considerata aggravata dal mezzo della pubblicità e che pertanto la pena da applicare può essere il carcere. «È una sentenza che non condivido – commenta Arrighi – ma che ovviamente rispetto. Rimane il dubbio che nei processi per reati commessi su internet sfuggano ancora, talvolta, le reali dinamiche della rete. Soltanto quando leggeremo le motivazioni sapremo qual è stato il percorso logico giuridico seguito dalla Cassazione».
 
FONTE: Lavinia Di Gianvito (corriere.it)

sabato 16 maggio 2015

Il Pentagono: “Raid delle forze speciali in Siria, duro colpo all’Isis”

 
Carter conferma l’uccisione di Abu Sayyaf, uno dei massimi responsabili del Califfato
 
Le forze speciali americane hanno ucciso la scorsa notte nell’est della Siria un importante leader dello Stato islamico, Abu Sayyaf, ed arrestato sua moglie Umm. Ne ha dato notizia oggi in una nota il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Ashton Carter, precisando che nel corso dell’operazione è stata liberata una donna di etnia yazida che veniva tenuta in schiavitù dalla coppia.  
 
 
Su ordine del presidente Barack Obama, si legge in una nota del Consiglio per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, la scorsa notte, militari americani di stanza in Iraq hanno condotto un’operazione ad al-Amr, nell’est della Siria, per catturare un importante leader dell’Is, noto come Abu Sayyaf, e sua moglie Umm Sayyaf. Nel corso dell’operazione, Abu Sayyaf è stato ucciso, mentre la moglie è stata catturata ed è attualmente detenuta dagli americani in Iraq, ed è stata liberata una donna yazida, che vogliamo restituire alla sua famiglia al più presto possibile. Abu Sayyaf, ricorda la nota, tra le altre cose aveva un ruolo importante nella supervisione delle operazioni per il contrabbando di petrolio e gas, tra le fonti di entrate principali per l’organizzazione terroristica, grazie alle quali «l’organizzazione terroristica porta avanti le sue tattiche brutali e l’oppressione di migliaia di civili innocenti». Era anche coinvolto nelle operazioni militari del gruppo, mentre il sospetto è che anche la moglie facesse parte dell’Is, con un «ruolo importante nelle attività terroristiche» del gruppo.  
 
La nota spiega che Obama ha autorizzato l’operazione «su raccomandazione unanime del suo team per la sicurezza nazionale» appena sono state raccolte sufficienti informazioni di intelligence. «L’operazione - si legge ancora - è stata condotta con il pieno consenso delle autorità irachene e, come i nostri raid aerei contro l’Is in Siria, nel rispetto delle leggi nazionali e internazionali». Quanto alla moglie di Abu Sayyaf che è stata arrestata, gli Stati Uniti «stanno lavorando per determinare disposizioni per la detenuta che meglio rispettino la sicurezza nazionale degli Stati Uniti e dei nostri partner e alleati, nel rispetto delle leggi nazionali e internazionali». Inoltre verrà informato il comitato internazionale della Croce Rossa (Icrc), che avrà accesso alla detenuta. Il segretario alla Difesa, Carter, ha precisato che nell’operazione nessun soldato americano è rimasto ucciso o ferito.  
 
«L’operazione - ha sottolineato ancora Carter - rappresenta un altro colpo significativo allo Stato Islamico e ricorda che gli Stati Uniti non indietreggeranno mai nel negare un posto sicuro ai terroristi che minacciano i nostri i cittadini, i nostri amici ed alleati». La stampa americana sottolinea come quello condotto la scorsa notte dalle forze speciali sia stato un raro caso di operazione riuscita sul terreno: lo scorso anno, operazioni simili vennero condotte nell’est della Siria per liberare gli ostaggi americani James Foley e Steven Sotloff, poi giustiziati dai jihadisti, ma fallirono.
 
FONTE: lastampa.it

giovedì 14 maggio 2015

Attacco taleban al residence per stranieri a Kabul: anche un cooperante italiano tra i 14 morti


Alessandro Abati, 48 anni, ucciso con la compagna kazaka. Liberati decine di ostaggi
 
Massacro dei taleban a Kabul. Almeno 14 persone sono morte nell’attacco di un commando armato a una foresteria frequentata da stranieri nella capitale dell’Afghanistan. Tra le vittime c’è anche un italiano, come conferma anche la Farnesina. Che non commenta invece la notizia di alcuni media locali, secondo cui i connazionali morti sarebbero due. Tra le vittime, 9 stranieri tra i quali anche uno statunitense e quattro indiani.

L’ITALIANO UCCISO
Era un cooperante, Alessandro Abati (48 anni) la vittima italiana nell’attacco alla guesthouse. Con lui è morta anche la compagna di origine kazaka, la 28enne Aigerim Abdulayeva, con cui avrebbe dovuto sposarsi a breve. Abati, un esperto di diritto internazionale nel campo del Public Private Partnership, per oltre 15 anni aveva lavorato come consulente in diversi Paesi, dai Balcani all’Est Europa, dal Medio Oriente all’Asia centrale.

LA RIVENDICAZIONE TALEBAN
I taleban afghani hanno rivendicato l’incursione e l’assedio alla Guest House Park Plaza, durato diverse ore e avvenuto mentre gli ospiti nell’hotel erano in giardino in attesa di un concerto di un noto cantante locale. Il portavoce dei taleban, Zabihullah Mujahid, in una e-mail inviata ai media ha detto che il gruppo ha preso di mira il residence perché frequentato da stranieri, tra cui statunitensi. «È stata una missione suicida di uno dei nostri combattenti: l’attacco è stato accuratamente pianificato contro una festa a cui partecipavano persone importanti, tra io quali americani», hanno fatto sapere i taleban in un comunicato. Nella zona dell’attacco, che ha causato anche diversi feriti, si trovano anche un complesso delle Nazioni Unite, varie ambasciate e diverse foresterie.
 
FONTE: lastampa.it