Un gruppo di ragazzi pachistani, studentesse di Manila, un giovane nigeriano. Come me, tutti matricole alle lezioni di uno dei più prestigiosi atenei via web
La prossima idea che cambierà il mondo stavolta potrebbe non nascere in un garage della Silicon Valley. Il nuovo Steve Jobs o Larry Page può essere uno dei ragazzi pachistani che si ritrovano a studiare insieme nella caffetteria di un Ikea nei sobborghi di Londra, «perché c’è spazio e la connessione al web è molto veloce».
O una delle ragazze di Manila che hanno creato un gruppo di studio filippino su Facebook dove si scambiano idee e appunti. O magari è Yusuf, 26 anni, un veterinario della Nigeria che scalpita per creare una sua azienda e giura di avere in mente una start-up che sarà «un successone».
La geografia li considera lontanissimi gli uni dagli altri, ma sono tutti compagni di classe. Frequentano insieme un corso universitario che si intitola «Sviluppo di idee innovative per nuove aziende», tenuto dal professor James V. Green, docente di Economia all’Università del Maryland. Quella di Green è una classe multietnica e senza dubbio affollata: c’è Yusuf, ci sono i pachistani di Londra, ci sono le ragazze filippine, ci sono io, giornalista italiano, e con noi ci sono altri 85.000 studenti di ogni parte del mondo.
Non uno dei 193 Paesi membri dell’Onu sembra mancare nella classe in cui il professore americano insegna a lanciare un’impresa di successo. Benvenuti alla nuova frontiera dell’educazione globale. O se preferite, come dice Thomas Friedman nell’analisi qui sotto, benvenuti nella «rivoluzione» dei MOOC (Massive open online course), la sigla che definisce le realtà universitarie che permettono la distribuzione via web di educazione di qualità a chiunque. Gratis.
Il fenomeno sta decollando a un ritmo impressionante. Coursera.org, la piattaforma accademica che ospita anche le lezioni del professor Green, è nata solo otto mesi fa e già conta 2,5 milioni di iscritti, ai quali offre corsi di 33 atenei prestigiosi come Stanford, Columbia, Duke, Brown, MIT o Princeton. Altre realtà analoghe come Udacity o edX (un consorzio che fa capo ad Harvard) stanno sviluppando offerte analoghe. L’idea è distribuire gratuitamente a chiunque sappia parlare inglese corsi universitari finora riservati a chi può permettersi rette da 40 mila dollari l’anno.
I corsi prevedono scadenze e test da rispettare: alla fine viene rilasciato un certificato a cui presto le università americane riconosceranno un valore in termini di credits. Si possono frequentare corsi gratuiti a scelta, senza limiti. La speranza dei campus è stimolare la «fame» di sapere con un aperitivo accademico, per raccogliere nuovi iscritti.
Entrare in una di queste università online è semplice come iscriversi a Facebook. «La Stampa» ha fatto la prova su Coursera. Il primo passo è creare un profilo, analogo a quello che molti di noi hanno già sul web: età, nazionalità, una foto, una breve descrizione e i link alle pagine personali su Twitter, Facebook, G+ e soprattutto LinkedIn, il social media per condividere esperienze di lavoro e di studio.
In cinque minuti ti scopri «matricola» in un campus delle meraviglie, dove c’è l’imbarazzo della scelta per chi ha voglia di studiare. In questo momento Coursera offre 221 corsi gratuiti di ogni genere. Volete capire gli algoritmi sotto la guida di due professori di Princeton? Siete ancora in tempo, il corso è partito il 4 febbraio e dura sei settimane. Vi interessa approfondire il tema (attualissimo) dell’ingegneria finanziaria e del risk management? Tre professoroni della Columbia sono vostri per dieci settimane. E ancora: introduzione al pensiero matematico, principi di macroeconomia, studio dei «big data».
C’è pane anche per i denti degli umanisti. Immaginate cosa significa per un ragazzo di un paese in via di sviluppo studiare gli antichi greci con un professore della Wesleyan University, come se fosse con lui nel campus del Connecticut.
Individuato il corso, si entra in classe. A noi 85 mila studenti del professor Green è richiesto di seguire 5-6 video lezioni alla settimana (si può accedere a qualsiasi ora del giorno o della notte, a prescindere dai fusi orari), scaricare le slides del docente, rispondere a mini-quiz durante la lezione e a test settimanali di verifica tipici del sistema americano: risposte multiple, «vero o falso» e brevi elaborati. Lezione dopo lezione, Green guida la sua platea planetaria alla scoperta della mentalità imprenditoriale e dei processi di scelta, insegna a preparare un business plan e una strategia di marketing di base.
Parlando dal suo ufficio in Maryland, offre a ragazzi africani o asiatici esempi presi dal mondo reale, spiegando come funziona la rete di vendite di Amazon o come la Ferrari riesce a creare aspettative e desideri legati alle sue auto. Infine offre informazioni preziose su come raccogliere capitale per una start-up e come disegnare strategie di crescita.
Manca ovviamente il contatto umano di un tradizionale ambiente universitario. L’alternativa qui sono i forum di discussione, che nascono spontaneamente per provenienza geografica o linguistica. Gruppi di studio in ogni idioma, italiano compreso. Sono pochi però i cinesi, a testimonianza della difficoltà di vivere liberamente la Rete in Cina. E per chi vuole comunque incontrare gli altri e studiare insieme, si ricorre ai Meetup - gruppi di chi condivide interessi comuni - e ci si incontra in una caffetteria di Starbucks, una biblioteca o anche all’Ikea.
Lo spirito con cui gli studenti partecipano non è diverso da un campus tradizionale. Ci sono quelli che si lamentano per i voti, quelli che criticano lo stile d’insegnamento e chi ha problemi con i video «difficili da caricare». Ma la maggior parte è d’accordo con Yusuf, il veterinario nigeriano: «Nonostante molti pensino il contrario, la verità è che non c’è mai stata un’epoca come questa nel mondo per far diventare realtà i nostri sogni».
FONTE: Marco Bardazzi (lastampa.it)
O una delle ragazze di Manila che hanno creato un gruppo di studio filippino su Facebook dove si scambiano idee e appunti. O magari è Yusuf, 26 anni, un veterinario della Nigeria che scalpita per creare una sua azienda e giura di avere in mente una start-up che sarà «un successone».
La geografia li considera lontanissimi gli uni dagli altri, ma sono tutti compagni di classe. Frequentano insieme un corso universitario che si intitola «Sviluppo di idee innovative per nuove aziende», tenuto dal professor James V. Green, docente di Economia all’Università del Maryland. Quella di Green è una classe multietnica e senza dubbio affollata: c’è Yusuf, ci sono i pachistani di Londra, ci sono le ragazze filippine, ci sono io, giornalista italiano, e con noi ci sono altri 85.000 studenti di ogni parte del mondo.
Non uno dei 193 Paesi membri dell’Onu sembra mancare nella classe in cui il professore americano insegna a lanciare un’impresa di successo. Benvenuti alla nuova frontiera dell’educazione globale. O se preferite, come dice Thomas Friedman nell’analisi qui sotto, benvenuti nella «rivoluzione» dei MOOC (Massive open online course), la sigla che definisce le realtà universitarie che permettono la distribuzione via web di educazione di qualità a chiunque. Gratis.
Il fenomeno sta decollando a un ritmo impressionante. Coursera.org, la piattaforma accademica che ospita anche le lezioni del professor Green, è nata solo otto mesi fa e già conta 2,5 milioni di iscritti, ai quali offre corsi di 33 atenei prestigiosi come Stanford, Columbia, Duke, Brown, MIT o Princeton. Altre realtà analoghe come Udacity o edX (un consorzio che fa capo ad Harvard) stanno sviluppando offerte analoghe. L’idea è distribuire gratuitamente a chiunque sappia parlare inglese corsi universitari finora riservati a chi può permettersi rette da 40 mila dollari l’anno.
I corsi prevedono scadenze e test da rispettare: alla fine viene rilasciato un certificato a cui presto le università americane riconosceranno un valore in termini di credits. Si possono frequentare corsi gratuiti a scelta, senza limiti. La speranza dei campus è stimolare la «fame» di sapere con un aperitivo accademico, per raccogliere nuovi iscritti.
Entrare in una di queste università online è semplice come iscriversi a Facebook. «La Stampa» ha fatto la prova su Coursera. Il primo passo è creare un profilo, analogo a quello che molti di noi hanno già sul web: età, nazionalità, una foto, una breve descrizione e i link alle pagine personali su Twitter, Facebook, G+ e soprattutto LinkedIn, il social media per condividere esperienze di lavoro e di studio.
In cinque minuti ti scopri «matricola» in un campus delle meraviglie, dove c’è l’imbarazzo della scelta per chi ha voglia di studiare. In questo momento Coursera offre 221 corsi gratuiti di ogni genere. Volete capire gli algoritmi sotto la guida di due professori di Princeton? Siete ancora in tempo, il corso è partito il 4 febbraio e dura sei settimane. Vi interessa approfondire il tema (attualissimo) dell’ingegneria finanziaria e del risk management? Tre professoroni della Columbia sono vostri per dieci settimane. E ancora: introduzione al pensiero matematico, principi di macroeconomia, studio dei «big data».
C’è pane anche per i denti degli umanisti. Immaginate cosa significa per un ragazzo di un paese in via di sviluppo studiare gli antichi greci con un professore della Wesleyan University, come se fosse con lui nel campus del Connecticut.
Individuato il corso, si entra in classe. A noi 85 mila studenti del professor Green è richiesto di seguire 5-6 video lezioni alla settimana (si può accedere a qualsiasi ora del giorno o della notte, a prescindere dai fusi orari), scaricare le slides del docente, rispondere a mini-quiz durante la lezione e a test settimanali di verifica tipici del sistema americano: risposte multiple, «vero o falso» e brevi elaborati. Lezione dopo lezione, Green guida la sua platea planetaria alla scoperta della mentalità imprenditoriale e dei processi di scelta, insegna a preparare un business plan e una strategia di marketing di base.
Parlando dal suo ufficio in Maryland, offre a ragazzi africani o asiatici esempi presi dal mondo reale, spiegando come funziona la rete di vendite di Amazon o come la Ferrari riesce a creare aspettative e desideri legati alle sue auto. Infine offre informazioni preziose su come raccogliere capitale per una start-up e come disegnare strategie di crescita.
Manca ovviamente il contatto umano di un tradizionale ambiente universitario. L’alternativa qui sono i forum di discussione, che nascono spontaneamente per provenienza geografica o linguistica. Gruppi di studio in ogni idioma, italiano compreso. Sono pochi però i cinesi, a testimonianza della difficoltà di vivere liberamente la Rete in Cina. E per chi vuole comunque incontrare gli altri e studiare insieme, si ricorre ai Meetup - gruppi di chi condivide interessi comuni - e ci si incontra in una caffetteria di Starbucks, una biblioteca o anche all’Ikea.
Lo spirito con cui gli studenti partecipano non è diverso da un campus tradizionale. Ci sono quelli che si lamentano per i voti, quelli che criticano lo stile d’insegnamento e chi ha problemi con i video «difficili da caricare». Ma la maggior parte è d’accordo con Yusuf, il veterinario nigeriano: «Nonostante molti pensino il contrario, la verità è che non c’è mai stata un’epoca come questa nel mondo per far diventare realtà i nostri sogni».
FONTE: Marco Bardazzi (lastampa.it)
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