Bonino: nostra partecipazione ad intervento militare non automatica. Da Siria e Iran minacce a Israele
L'attacco alla Siria alla fine ci sarà, ma non nelle prossime ore. È la Gran Bretagna di David Cameron, a sorpresa, a fermare le lancette del conto alla rovescia per lo strike contro il regime di Assad. Londra - è infatti il contenuto della mozione che il governo presenterà domani al Parlamento riconvocato in tutta fretta dalle ferie - continua a ritenere necessaria una risposta, «anche senza l'Onu», allo scempio perpetrato da Damasco con le armi chimiche.
E il regime ha sollevato anche lo spettro dei gas letali contro i Paesi europei: Usa, Gran Bretagna e Francia, ha detto il viceministro degli Esteri Faisal Maqdad, hanno aiutato «i terroristi» ad usare le armi chimiche in Siria, e gli stessi gruppi «le useranno presto contro il popolo d'Europa».
Prima di un'azione militare ritiene che sul tavolo del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite debba arrivare il rapporto degli ispettori che stanno indagando sul terreno in Siria. E agli esperti di Palazzo di Vetro, ha fatto sapere Ban ki-Moon in giornata, servono altri quattro giorni. Il veto scontato di Russia e Cina - ribadito oggi in una riunione degli ambasciatori dei 5 membri permanenti del Consiglio di Sicurezza - e anche lo spettro dell'Iraq che continua ad aleggiare a 10 anni dall'invasione sono riusciti quindi per il momento a far slittare l'attacco che sembrava imminente. Anche gli Usa ripetono che nessuna decisione è stata ancora presa. Ma Washington si prepara comunque a mettere nelle prossime ore sul piatto un cospicuo dossier di prove di colpevolezza del regime, mentre il segretario generale della Nato Rasmussen ha avvertito che l'uso di armi chimiche «non può restare senza risposta».
Si aspetterà comunque il risultato del lavoro degli ispettori Onu, malgrado secondo il consigliere per la Sicurezza nazionale del presidente Barack Obama, Susan Rice, la loro sia una missione senza senso. In un messaggio all'ambasciatore Usa all'Onu e ad altri esponenti del Palazzo di Vetro, Rice ha affermato, riferisce il Wsj, che la missione «ci dirà quello che già sappiamo, ovvero che le armi chimiche sono state usate. Non ci dirà chi le ha usate, questo già lo sappiamo». In mattinata era stato proprio il premier britannico Cameron a cercare di accelerare annunciando una proposta di risoluzione della Gran Bretagna al Consiglio di sicurezza «per l'autorizzazione di misure necessarie alla protezione di civili». Tentativo naufragato. «È prematuro discutere di una reazione del Consiglio di sicurezza finchè gli ispettori in Siria non presenteranno il loro rapporto», lo aveva stoppato il primo vice ministro degli Esteri russo Vladimir Titov, prefigurando il fallimento della riunione degli ambasciatori di Usa, Gb, Francia, Russia e Cina che si sarebbe tenuta di lì a poco. Si è trattato di un argomento evidentemente valido, anche perchè - secondo alcune indiscrezioni - il dossier di prove raccolto dagli Usa è cospicuo, ma incompleto. Contiene informazioni d'intelligence, resoconti, filmati video, dichiarazioni e rapporti di medici sul campo.
E soprattutto, secondo quanto riferisce la rivista Foreign Policy, intercettazioni di telefonate in cui un funzionario del ministero della Difesa chiede al comandante di un'unità per le armi chimiche spiegazioni su un attacco con gas nervino, appena poche ore dopo la strage del 21 agosto. Ma non contiene le prove solitamente determinati, ovvero quelle raccolte sul campo, come campioni di terreno, di sangue e altri elementi tangibili positivi ai test per il gas nervino. In ogni caso, secondo quanto ha detto un alto funzionario americano alla Nbc, è stato «passato il punto di non ritorno» e i raid contro obiettivi siriani scatteranno comunque «nell'arco di pochi giorni», mentre un'altra fonte ha precisato che «nessuna azione militare sarà unilaterale. Dovrà includere i nostri alleati internazionali». E in questo quadro, la Casa Bianca ha fatto sapere che dal 21 agosto, Obama e i suoi più stretti collaboratori hanno fatto almeno 88 telefonate a leader stranieri per cercare di costruire un consenso più largo possibile.
All'Onu l'ambasciatore siriano ha oggi chiesto al segretario generale Unite Ban Ki-moon di incaricare «immediatamente» gli ispettori in Siria di un'inchiesta su tre nuovi presunti attacchi di ribelli sull'esercito di Damasco. Attraverso l'Iran, il regime siriano ha allo stesso tempo minacciato in maniera esplicita Israele. «Se Damasco viene attaccata, anche Tel Aviv verrà presa di mira. Una vera guerra contro la Siria produrrà una licenza per attaccare Israele», ha scritto l'agenzia iraniana Fars, vicina al Corpo d'elite dei Pasdaran, citando «un'alta fonte delle forze armate siriane».
La posizione italiana. L'Italia intanto mantiene le distanze da un sempre più probabile intervento militare, anche se ci fosse il via libera dell'Onu. «La nostra partecipazione non sarebbe automatica» ma ci vorrebbe un dibattito parlamentare, ha avvertito il ministro degli Esteri Emma Bonino. La priorità del governo, come è emerso oggi da un vertice a Palazzo Chigi presieduto dal premier Enrico Letta, è di accertare quanto prima le responsabilità dell'attacco chimico nei sobborghi di Damasco, facilitando il lavoro degli ispettori Onu. L'ulteriore frenata è arrivata oggi dalla titolare della Farnesina: anche con l'ok del Consiglio di sicurezza dell'Onu ad un'azione militare in Siria - ha puntualizzato Bonino - la partecipazione italiana «non sarebbe automatica», piuttosto farebbe scattare un «serio dibattito in Parlamento».
Il collega della Difesa Mario Mauro ha detto ancora più chiaramente che «non ci sono spazi perchè l'Italia prenda parte attivamente ad una nuova azione militare», perchè i nostri soldati sono già impegnati «in Libano, Libia, Kosovo e Afghanistan». Ed in caso di richiesta da parte degli alleati di concedere le basi militari, «che ancora non è arrivata», ogni decisione del governo sarà «collegiale» e «sottoposta al Parlamento», ha aggiunto Mauro, specificando che il governo vuole «evitare avventure al nostro Paese». La linea italiana, formalizzata dal premier Letta al termine di una riunione con i ministri Mauro e Bonino ed il vicepremier Alfano, è di «chiedere con grande forza all'Onu che sia chiarito quanto successo» in quel terribile attacco del 21 agosto. «L'utilizzo delle armi chimiche è un crimine contro l'umanità», ha aggiunto Letta, confermando il sostegno agli ispettori perchè l'Italia «per tradizione richiede la legittimità attraverso atti motivati dall'Onu».
La «soluzione diplomatica» rimane l'unica opzione ritenuta valida a palazzo Chigi, nonostante i venti di guerra. Bonino ha sottolineato anche oggi che il governo «non crede alla soluzione militare», anche se si comprendono «le ragioni che spingono alcuni Paesi a voler dare un avvertimento muscoloso» ad Assad. In ogni caso, ogni intervento fuori dal mandato Onu «non sarebbe una risposta adeguata, convincente e positiva, anzi rischierebbe di esacerbare una situazione più che esplosiva», ha specificato la titolare della Farnesina. La prudenza del governo è apprezzata nelle aule parlamentari. Il Pd conferma il sostegno al ministro Bonino sulla contrarietà ad un'azione militare italiana, il Pdl parla della necessità di un «approccio pragmatico e di una soluzione politica». E secondo il presidente della Commissione Esteri del Senato Pier Ferdinando Casini, «è giusto chiedere l'avallo del Consiglio di sicurezza Onu, che significherebbe un accordo tra Stati Uniti e Russia».
Attraverso l'Iran, il regime siriano ha infine minacciato in maniera esplicita Israele. «Se Damasco viene attaccata, anche Tel Aviv verrà presa di mira. Una vera guerra contro la Siria produrrà una licenza per attaccare Israele», ha scritto l'agenzia iraniana Fars, vicina al Corpo d'elite dei Pasdaran, citando «un'alta fonte delle forze armate siriane».
FONTE: ilmessaggero.it
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