venerdì 30 ottobre 2015

IL GIUDICE ALLA SCORTA:”COMPRATEMI DENTIFRICIO E SMALTO”. POI SI LAMENTA:“NON FANNO MAI UN C…

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“Comprami lo spazzolino Elmex verde, il filo interdentale non cerato Oral-B e un dentifricio Mentadent non granulare per Francesco”. Il giudice Silvana Saguto comunica la lista della spesa a un uomo della scorta attraverso un sms. Poi, come racconta la Stampa, si lamentava al telefono“Quelli non fanno mai un cazzo”.
E li faceva correre in farmacia o li spediva a prendere una ricetta in ambulatorio medico per poi fargliela portarla alla madre. In altre occasioni, quando si trovava dall’estetista, usava gli agenti per andare a recuperare lo smalto. “Viene Carmine (agente, ndr) a prenderlo”, diceva al marito.
La Saguto è l’ex presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo. La polizia tributaria e i pm di Caltanissetta stanno cercando di far luce su certi incarichi multimilionari. Nel mirino dell’inchiesta sono finiti, insieme alla Saguto, anche l’amministratore giudiziario Gaetano Cappellano Seminara e il marito Lorenzo Caramma che è stato nominato coadiutore di diverse amministrazioni per volere della moglie. Si parla anche di presunte tangenti.
E ora le intercettazioni pubblicate dalla Stampa aggiungono nuovi, disarmanti particolari all’inchiesta. In una telefonata, per esempio, rimprovera al figlio chef, Elio Caramma, di spendere troppo.“Siamo indebitati persi – dice al telefono – non è possibile, non si può fare, non esiste stipendio che possa garantire queste cose. La nostra situazione economica è arrivata al limite totale, non è possibile più, completamente! Ci sono sempre nuove cose! Voi non potete farmi spendere 12, 13, 14 mila euro al mese, noi non li abbiamo questi introiti”.
Per rimediare alla crisi economica della famiglia, secondo le ipotesi dell’accusa, la Saguto avrebbe preso denaro dall’amministratore giudiziario Gaetano Cappellano Seminara. Soldi che le sono stati portati direttamente a casa in un trolley. I finanzieri l’avrebbero beccati con le mani nella marmellata grazie a pedinamenti e intercettazioni. Al telefono il giudice chiedeva il rientro di scoperti per migliaia di euro avanzate da Banca Nuova e America Express ai coniugi Caramarra.
FONTE: psagroup.it

sabato 24 ottobre 2015

Scontro tra bus e camion, almeno 43 morti in Francia


L’incidente nei pressi di Libourne, 50 km a ovest di Bordeaux. Soltanto 8 superstiti

Per la Francia è la più grande tragedia stradale dal 1982. Quarantatre persone sono morte questa mattina nello scontro frontale tra un pullman turistico e un tir a Puisseguin, nel dipartimento della Gironda, su una curva descritta da molti abitanti della zona come particolarmente stretta e pericolosa, a est di Bordeaux. La collisione, sulla strada provinciale D17, è avvenuta alle 7:30 del mattino. Dopo l’impatto i due veicoli hanno preso fuoco. La maggior parte delle vittime sono persone anziane, iscritte un club per la terza età, che si trovavano a bordo del pullman per un’escursione turistica. Sarebbero dovuti rientrare a casa questa sera. Otto feriti, di cui quattro gravi.  

Contrariamente a quanto emerso in un primo tempo, l’autista del bus - sui cui viaggiavano 48 persone - non è morto. Stando a una testimonianza raccolta da radio Europe 1, avrebbe dato prova di un «comportamento eroico», mettendo «a rischio la propria vita» per trarre in salvo i passeggeri tra le fiamme. «E’ molto scioccato - racconta Philippe Flipot, il medico generalista di Puisseguin che lo ha visitato - Mi ha detto di essersi improvvisamente ritrovato davanti a un tir uscito di traiettoria, a portafoglio, non ha potuto evitarlo. E però è riuscito ad aprire le porte, permettendo cosi’ ad alcuni passeggeri di mettersi in salvo».  

Dalla Grecia, dove si trova per una visita ufficiale, il presidente Hollande ha assicurato che «il governo è totalmente mobilitato» per rispondere a questa «immensa tragedia». «Faremo piena luce sulle circostanze. Tutti i servizi sono sul posto per fornire i soccorsi necessari e accompagnare le famiglie. Rivolgo ai familiari delle vittime le mie sincere condoglianze e assicuro la solidarietà di tutta la nazione». Il premier Manuel Valls, il ministro dell’Interno, Bernard Cazeneuve, e il segretario di Stato ai Trasporti, Alain Vidaliès, sono giunti sul posto in tarda mattinata. «Siamo colpiti dal cordoglio», «bisogna organizzare l’accoglienza dei feriti e purtroppo dei corpi», ha detto da parte sua Xavier Sublett, il sindaco di Puisseguin, annunciando l’allestimento di una camera ardente.  

Sul posto è stato dispiegato un imponente dispositivo di soccorso con polizia, gendarmi e almeno 70 vigili del fuoco. Attivati anche un numero verde e una cellula di sostegno psicologico. Il pullman era partito questa mattina intorno alle sette da Petit-Palais-et-Cornemps, un villaggio di 643 abitanti a pochi chilometri dal luogo dell’impatto, e si stava recando nelle Landes. «Doveva essere un’escursione turistica di un giorno. Era anche prevista una visita a una fabbrica di prosciutti e il tradizionale pranzo sul posto», ha testimoniato in tv Francois Decause, presidente del club escursionistico di Petit-Palais, aggiungendo: «Con mia moglie siamo sotto choc, non sappiamo che fare, persone che conoscevamo benissimo, amici, si trovano a bordo». In Francia, l’ultima tragedia stradale di questa portata risale a 33 anni fa, nel 1982, quando 53 persone, di cui 44 bambini, persero la vita nell’incidente di Beaune.  

FONTE: Paolo Levi (lastampa.it) 

lunedì 12 ottobre 2015

Poste, al via storica privatizzazione da 3,4 miliardi. A fine mese in Borsa (con 8 mila assunzioni)


Lanciata l’offerta pubblica di vendita, obiettivo negoziare l'entrata a Piazza Affari il 27 ottobre. Il Tesoro venderà il 38,2% del capitale. Confermato il piano di 8.000 assunzioni

Poste Italiane ha lanciato lunedì l’offerta pubblica di vendita, con l’obiettivo di approdare in Borsa l’ultima settimana di ottobre dopo aver raccolto sul mercato tra i 2,7 e i 3,4 miliardi di euro (che potrebbero salire a 3-3,7 miliardi se il governo eserciterà tutta la «greenshoe» prevista). «Ipotizziamo l’inizio delle negoziazioni i primi giorni della settimana del 26-27 ottobre», ha spiegato l’amministratore delegato Francesco Caio. L’offerta si chiuderà il 22 ottobre per retail e istituzionali. «È un’Ipo che ha valenza finanziaria ed economica ma anche di politica industriale, perché contribuisce ad ammodernare il paese e a garantire un futuro sostenibile per chi lavora in Posta», ha aggiunto.Caio ha inoltre confermato il piano di 8.000 assunzioni già annunciate.

Il ministero dell’Economia: «Una Ipo storica»

Quella di Poste Italiane - la più grande Ipo del 2015 in Europa dopo quella della spagnola Aena - è la privatizzazione bandiera del governo di Matteo Renzi. «Storica», l’ha definita oggi il capo della segreteria tecnica del ministero dell’Economia Fabrizio Pagani, sottolineando che è la prima di dimensioni paragonabili a quelle dell’ondata di privatizzazioni degli anni 90. «Quella che decenni fa era l'azienda conservatrice più corporativa e succube della politica, risponderà agli azionisti e al mercato. Anche questo è cambiare verso», ha commentato il presidente del consiglio, Matteo Renzi.

Il Tesoro venderà quasi il 40% del gruppo

Per portare le Poste in Borsa il Tesoro venderà fino al 38,2% del capitale, valorizzando la società fino a un massimo di 9,7 miliardi di euro; ogni azione sarà offerta a un prezzo compreso tra 6 e 7,5 euro. Il 30% dei 453 milioni di titoli è destinato al pubblico, mentre il restante 70% andrà a investitori istituzionali. Circa 14,9 milioni di azioni saranno riservate ai 143 mila dipendenti.

Dividendi pari all’80% degli utili per due anni

Poste Italiane si presenta a Piazza Affari con 15,9 miliardi di ricavi e 435 milioni di euro di utile al 30 giugno, dati in crescita che «danno segnali incoraggianti su un andamento che sarà sicuramente positivo», ha spiegato il direttore finanziario, Luigi Ferraris. L’annuncio di un payout di almeno l’80% degli utili per gli esercizi 2015 e 2016 sembra voler incentivare la sottoscrizione dell’offerta soprattutto da parte del pubblico retail e dei dipendenti (a cui è riservato il 30% dell’Ipo) e assicurare il successo di quest’operazione. «La politica (dei dividendi) è limitata nel tempo perché abbiamo un piano industriale che cambia nel tempo», ha spiegato Caio. «Abbiamo dato indicazioni sui dividendi dei primi due anni, poi daremo appuntamento al mercato per discuterne (...) anche in relazione alle opportunità di investimento che avremo». Negli anni passati la politica dei dividendi non ha seguito una politica precisa: in riferimento al 2012 sono stati distribuiti 250 milioni di dividendi su un utile di 1,032 miliardi, per il 2013 500 milioni su 1,005 miliardi e per il 2014 si è attinto alle riserve, distribuendo 250 milioni di cedole su un utile di 212 milioni.

I rischi: procedure dell’Ue

Tuttavia Poste Italiane dovrà fare i conti con la ristrutturazione della divisione postale in perdita e con tutta una serie di rischi evidenziati nel prospetto, da quelli regolamentari relativi alle compensazioni per il servizio universale alle vertenze di lavoro e all’andamento dei tassi di interesse. Nel prospetto informativo si segnala infatti il rischio che la Commissione Europea possa aprire una procedura di infrazione contro l’Italia in relazione al piano di consegna della posta a giorni alterni in alcuni comuni (autorizzato dall’Agcom), le cui conseguenze non sono prevedibili. O i rischi relativi al riconoscimento degli importi dovuti per la prestazione del servizio universale rispetto alla normativa sugli aiuti di stato, rischi che però secondo il management di Poste sarebbero ridotti dal momento che il 7 ottobre scorso la Ue ha rilasciato una comfort letter che «anticipa il prevedibile esito finale positivo».

FONTE: corriere.it

lunedì 5 ottobre 2015

Istat: "L'economia italiana si rafforza". Tesoro: "Entrate in crescita di 5,9 mld"

Istat: "L'economia italiana si rafforza". Tesoro: "Entrate in crescita di 5,9 mld"

La nota trimestrale dell'Istituto di statistica sottolinea il recupero sui versanti del lavoro e dei consumi. La ripresa si trasmette anche al Fisco, con il gettito in aumento sia dall'Irpef che dall'Iva nei primi otto mesi dell'anno

Migliora l'andamento del gettito fiscale italiano e, con la nota positiva dei consumi, anche le prospettive economiche del Belpaese. E' il dato composito che arriva da Tesoro e Istat. Secondo il Ministero dell'Economia, nel periodo gennaio-agosto 2015 le entrate tributarie erariali, accertate in base al criterio della competenza giuridica, ammontano a 272.253 milioni di euro, con un aumento del 2,2% (+5.880 milioni) rispetto allo stesso periodo del 2014. Al netto dell'impatto delle quote di Bankitalia, che si era registrato lo scorso anno, l'aumento tendenziale è del 3%.

L'andamento economico. La nota mensile dell'Istituto di Statistica dice che "l'economia italiana si rafforza": l'indicatore "ha segnato a luglio un ulteriore aumento" che "conferma il proseguimento della fase espansiva" e suggerisce "una evoluzione positiva anche nei prossimi mesi". Ancora: "L'evoluzione dei prezzi rimane ancora moderata. Il quadro macroeconomico risulta comunque influenzato dal rallentamento del commercio mondiale", che paga la crisi cinese e il rallentamento dei mercati emergenti. A luglio il Pil italiano ha segnato "un ulteriore aumento", anche se di "intensità minore" rispetto ai mesi precedenti, con l'evoluzione dell'economia nel terzo trimestre che "appare connotata da una intonazione positiva".

Un paragrafo ad hoc nella nota è dedicato al recupero dei consumi: "Nel secondo trimestre del 2015, si è registrato un primo significativo segnale di miglioramento della spesa delle famiglie, (+0,4% in termini congiunturali, la variazione più elevata dal terzo trimestre 2010). L'incremento della spesa è stato in parte finanziato attraverso l'aumento del potere d’acquisto (+0,2%) e in parte attraverso un ricorso al risparmio, la cui propensione è scesa nel secondo trimestre di 2 decimi di punto all’8,7%. Nei primi sei mesi del 2015 il potere d’acquisto ha registrato una crescita dello 0,8% nei confronti dello stesso periodo del 2014". Guardando in prospettiva, "i segnali di miglioramento registrati nei comportamenti di spesa dei consumatori nel primo semestre dell’anno sono attesi proseguire nei prossimi mesi. Le indicazioni provenienti dal clima di fiducia delle famiglie, che rappresenta un indicatore anticipatore dei loro comportamenti, hanno infatti registrato risultati estremamente favorevoli nell'ultimo trimestre".

Il gettito. Nella nota del Tesoro, invece, si spiega che "la crescita delle entrate tributarie, registrata nei primi otto mesi dell'anno compensa ampiamente il venir meno del gettito dell'imposta sostitutiva sui maggiori valori delle quote di partecipazione al capitale della Banca d'Italia (previsti dalla Legge di stabilità 2014), pari a 1.692 milioni di euro, e dell'imposta sostitutiva sulla rivalutazione dei beni d'impresa e delle partecipazioni (sempre da Legge di stabilità 2014), pari a 236 milioni di euro, i cui versamenti erano stati previsti per il solo anno 2014". Ai fini di un confronto omogeneo "neutralizzando queste entrate straordinarie del 2014, le entrate tributarie erariali presentano una crescita tendenziale del +3,0% (+7.808 milioni di euro)".

Il miglioramento del quadro economico si evince dall'andamento di singole voci quali l'Irpef e l'Iva. Cresce l'incasso Irpef, infatti, del 3,8% (+4.103 milioni), per effetto principalmente dall'andamento positivo delle ritenute di lavoro dipendente (+3.456 milioni). Continua anche il trend positivo dell'Ires (+2,3%) e dell'Iva (+3,1%). I maggiori versamenti in autoliquidazione dei mesi di luglio (+20,8%, pari a +805 milioni) e agosto (+9,1%, pari a +147 milioni), spiega il Mef, "confermano un quadro
congiunturale in miglioramento rispetto all'anno scorso". All'aumento del gettito Iva, che cresce di 2,16 miliardi, contribuisce il buon andamento della componente interna e lo split payment (+3,8%, pari a 2,36 miliardi) mentre resta in calo il gettito delle importazioni extra Ue.

FONTE: repubblica.it

domenica 4 ottobre 2015

La maledizione di Obama: ora il ritiro entro il 2016 diventa quasi impossibile

Il presidente punta a finire il mandato senza truppe al fronte. Giovedì vertice dell’Alleanza per decidere la nuova strategia

I tempi e i modi del ritiro americano dall’Afghanistan non sono ancora stati decisi in maniera definitiva. Lo hanno detto a fine settembre fonti autorevoli dell’amministrazione Usa, parlando con gli alleati della Nato, in vista della riunione ministeriale dell’Alleanza in programma l’8 ottobre. A questo incontro parteciperà il capo del Pentagono Carter, che visiterà pure l’Italia il 5 e 6 ottobre, e approfitterà dell’appuntamento di Bruxelles per discutere anche l’impegno futuro nel paese asiatico ormai in guerra da 14 anni.  

Il presidente Obama ha espresso la volontà di completare il ritiro entro la fine del suo mandato, cioé nel dicembre del 2016, ma il tragico errore commesso con l’ospedale di Medici Senza Frontiere dimostra perché questo obiettivo potrebbe diventare impossibile. Gli aerei americani, infatti, stavano bombardando per aiutare le forze armate afghane a riprendere Kunduz, la città più grande mai riconquistata finora dai talebani. La causa dell’incidente, dunque, prova quanto sia reale il rischio di ripetere l’errore commesso in Iraq, dove il ritiro affrettato delle forze Usa ha consentito all’Isis di riempire lo spazio lasciato vuoto dal governo sciita di Baghdad. Nello stesso tempo, però, l’incidente aumenterà le pressioni a favore del disimpegno americano, complicando anche le relazioni col nuovo presidente Ghani, che si era nuovamente schierato con Washington dopo i tentennamenti finali del suo predecessore Karzai, e aveva chiesto e ottenuto di ritardare il ritiro della coalizione internazionale guidata dagli Usa. 
Il programma in bilico
Secondo il calendario previsto dalla Casa Bianca, le truppe americane dovevano scendere dai 32.000 uomini del 2014 ai 9.800 di oggi, riducendosi ancora della metà entro la fine del 2015. Il numero poi si doveva azzerare con la conclusione del mandato presidenziale. A marzo, proprio su richiesta di Ghani, Obama aveva rallentato il ritiro, e anche l’Italia aveva risposto in maniera positiva continuando il proprio impegno nella zona di Herat.  
La richiesta di Ghani aveva due motivi: primo, evitare che la partenza della coalizione aprisse le porte dell’Afghanistan alla riconquista da parte degli estremisti, che avevano ospitato gli organizzatori degli attentati dell’11 settembre 2001; secondo, dare credibilità ai tentativi di fare un accordo di pace con i talebani, che erano già in corso segretamente nei paesi del Golfo. 
La strategia talebana
Il recente annuncio della morte del Mullah Omar ha cambiato in buona parte le carte in tavola, spingendo la fazione più intransigente del gruppo a disconoscere le trattative per la convivenza col governo. Nello stesso tempo, il ritiro annunciato della coalizione ha convinto gli stessi estremisti che non c’è motivo per negoziare una soluzione politica: basta aspettare e sopravvivere fino alla fine del 2016, per poi lanciare una controffensiva tipo quella dello Stato Islamico, e riprendersi tutto l’Afghanistan scacciando il governo di Ghani. Quindi le operazioni militari sono diventate più intense e sfrontate, sotto la guida del nuovo leader Mullah Akhtar Mansour, e col sospettato aiuto dell’Iran e dei servizi deviati pakistani. 
L’assalto riuscito contro Kunduz è la dimostrazione di questa nuova strategia, e quindi era diventato indispensabile riprenderla, per evitare che i talebani prendessero il coraggio di lanciare operazioni simili anche contro altre province tipo Helmand, Kandahar o Nangarhar. Perciò le forze speciali americane sono tornate a combattere in questa città, oltre ad assistere i militari afghani e guidare i bombardamenti dell’Air Force, come quello tragicamente sbagliato sull’ospedale. Ora il problema è decidere come procedere: continuare il ritiro, esponendosi al rischio che i talebani riprendano tutto l’Afghanistan, oppure proseguire l’intervento, col pericolo di altri incidenti che infiammeranno la popolazione civile? 
Cambio di rotta
Il dilemma è stato spiegato bene al Wall Street Journal dal «chief executive» Abdullah Abdullah, che aveva visitato il giornale proprio il giorno prima della tragedia di Kunduz: «Io sono personalmente assolutamente convinto, e sono sicuro che il presidente Ghani sia della stessa opinione, che il ritiro pianificato al momento per il 2016 sia un grande rischio per noi, e per i risultati ottenuti dagli afghani e americani negli ultimi 14 anni. Nelle nostre discussioni, concordiamo tutti che è assolutamente importante avere una presenza oltre il 2016, affinché le nostre forze armate siano in grado di controllare la situazione». Dal 2001 ad oggi gli Usa hanno speso 700 miliardi di dollari in Afghanistan, e hanno perso 2.300 soldati, più oltre 20.000 feriti. Gli afghani hanno perso 13.000 militari solo negli ultimi 3 anni, più le vittime civili dei vari «danni collaterali» come quello di Kunduz. Eppure non è finita, al punto che il ritiro sta tornando in discussione anche con gli alleati europei. 

FONTE: lastampa.it