domenica 29 dicembre 2013

Patrimoni, persi 11.400 euro a famiglia

RAPINATO IL CONTO CORRENTE
Assalto ai nostri patrimoni:
ecco quanto si prende lo Stato

Undicimilaquattrocentoquaranta euro di patrimonio per ogni famiglia sono andati bruciati tra la fine del 2011, quando si insediò il governo Monti, e il giugno dell’anno in corso. L’aggressione dello Stato alla ricchezza dei nuclei familiari privati, che è anche l’unica vera ricchezza dell’Italia, si è fatta più cruenta negli ultimi anni. La conferma arriva dalle tabelle della Banca d’Italia sulla ricchezza delle famiglie italiane, contenute nel recente supplemento al Bollettino statistico.
I calcoli tra la fine del 2011 e i dodici mesi successivi sono ufficiali. Per i primi sei mesi dell’anno in corso mancano invece numeri definitivi. «Secondo stime preliminari», scrive comunque Bankitalia, «nel primo semestre del 2013 la ricchezza delle famiglie sarebbe ulteriormente diminuita rispetto alla fine del 2012», segnando un calo in termini nominali pari all’«uno per cento» rispetto al dicembre precedente. 
Il risultato fa paura. Alla fine del 2011 la ricchezza netta complessiva delle famiglie italiane era pari a 8.776 miliardi di euro. Un anno dopo era scesa a quota 8.542 (il raffronto è fatto a prezzi costanti 2012). In appena dodici mesi 234 miliardi se ne erano andati in fumo: il 2,7% del totale. La successiva diminuzione pari all’1% circa, segnata nel primo semestre del 2013, aggiunge altri 85 miliardi all’ammanco.
Trasportato nelle contabilità delle singole famiglie, significa che la ricchezza netta di ogni nucleo è scesa dai 365.341 euro della fine del 2011 ai 357.476 euro del dicembre 2012. Un impoverimento di 7.865 euro, che a giugno 2013 è salito a circa 11.440 euro. A questa cifra, dunque, ammonta la distruzione del patrimonio della famiglia media italiana dal mese seguente all’insediamento di Mario Monti a palazzo Chigi sino al terzo mese successivo all’entrata in carica del governo Letta. 
A livello pro capite, la ricchezza è scesa dai 147.754 euro del dicembre 2011 ai 143.124 della fine del 2012, sino ai circa 141.693 euro del giugno 2013 (sempre considerando per i primi sei mesi dell’anno un calo pari all’1%). In appena un anno e mezzo, dunque, il patrimonio dell’italiano medio si è contratto di 6.061 euro.
La tabelle della Banca d’Italia non si addentrano nelle cause “politiche” dell’impoverimento. Che però non sono difficili da individuare. Il primo responsabile è il fisco. La causa principale della diminuzione della ricchezza delle famiglie va trovata nel crollo dei prezzi del mattone. «Alla fine del 2012», scrivono gli economisti di via Nazionale, «la ricchezza abitativa detenuta dalle famiglie italiane superava i 4.800 miliardi di euro; tale valore registrava una flessione del 3,9 per cento rispetto all’anno precedente (-6 per cento in termini reali)». A partire da quell’anno il prezzo di mercato degli immobili è stato depresso dall’introduzione dell’Imu sulla prima casa, anticipata «in via sperimentale» (grazioso eufemismo) dal governo Monti. Gli effetti del fisco si sono sommati così a quelli della crisi economica. Processo che è continuato nell’anno in corso: «Secondo i dati dell’Istat», avverte la Banca d’Italia, «nella prima metà del 2013 i prezzi degli immobili sono diminuiti del 2,1 per cento rispetto alla fine del 2012».
L’altro impatto, il fisco l’ha avuto sulla capacità delle famiglie italiane di mettere soldi da parte. Sotto la voce «risparmio», infatti, i conteggi fatti a via Nazionale tengono conto della variazione del patrimonio dovuta ai trasferimenti in conto capitale, che comprendono le imposte sul patrimonio, incluse quelle sulle donazioni e le successioni. Nel 2012, per il settimo anno consecutivo, gli italiani hanno risparmiato meno del precedente, riuscendo a mettere da parte 36 miliardi di euro; per avere un raffronto, alla fine degli anni Novanta la capacità di risparmio delle famiglie ammontava a cento miliardi di euro attuali.
Se non intervengono colpi di scena, il finale della storia è già scritto. Soprattutto a causa delle imposte, gli italiani riescono a risparmiare sempre meno. E per colpa della pressione fiscale che grava sulle case, il valore del patrimonio immobiliare delle famiglie si riduce ogni anno di più. In un Paese caratterizzato da un settore pubblico indebitatissimo, la ricchezza privata è l’unico asset che fa la differenza con i Paesi realmente poveri. La scelta di aggredire gli assi ereditari provenienti dalle generazioni passate, di trasferire ogni anno quote di patrimonio dal privato al pubblico, che le usa per finanziare la spesa corrente, cioè per bruciarle, è la peggiore che un governo possa prendere, perché impedisce il passaggio di questo patrimonio alle prossime generazioni e le condanna a un futuro di miseria.

FONTE: Fausto Carioti (liberoquotidiano.it)

martedì 24 dicembre 2013

Tanti auguri

Un altro Natale e un nuovo Anno bussano alla nostra porta!
Davvero una ghiotta occasione per formulare a Voi e ai vostri Cari i nostri migliori auguri.

Another Christmas and a New Year are knocking at our door!
A good opportunity to send our best wishes to you and to all your Dear Ones.

Alessandro Nanni & family (Eloisa, Lorenzo e Federica)


lunedì 23 dicembre 2013

Nel 2014 pagheremo 2 miliardi di tasse in più

Lo confessa
anche il Pd:
2 miliardi
di tasse in più

I veri numeri della Legge di stabilità approdata al Senato: a fronte di sei miliardi di tagli ci sono...

Nel suo discorso di Natale, il premier Enrico Letta ha parlato di riforme, di legge elettorale, di Europa, di Grillo, di Napolitano, di Berlusconi. Ma ha solo sfiorato il tema delle tasse, che sono state un calvario di questi suoi primi dieci mesi a Palazzo Chigi. Il perchè di una simile trascuratezza sta nei numeri che, all'interno della Legge di stabilità, cadono sotto la voce "fisco". La legge che è stata approvata dall'aula di Palazzo Madama con 167 voti favorevoli a fronte di 110 contrari, vale 14,7 miliardi nel 2014 di cui 12,2 miliardi riconducibili a coperture di misure contenute nel provvedimento e circa 2,5 miliardi di interventi a deficit. Dal saldo tra entrate che vengono aumentate (8,2 miliardi) e quelle che vengono ridotte (6,1 miliardi) emerge che la manovra determina nel 2014 un aumento netto delle entrate, quindi del prelievo fiscale e contributivo pari a 2,1 miliardi nel 2014, circa 600 milioni nel 2015 e 1,9 miliardi nel 2016. Le minori entrate derivanti dall’abolizione dell’Imu, pari a 3,76 miliardi di euro, sono compensate dalle maggiori entrate derivanti dall’introduzione della Tasi.
A fornire i calcoli definitivi, al termine dell’iter parlamentare, è nel suo intervento al Senato il relatore della Legge di Stavbilità per il Pd, Giorgio Santini, per il quale la manovra è sbilanciata: nel 2014 il 67% delle coperture arriva da maggiori entrate, che scendono al 59% nel 2015 e nel 2016. Sempre nel 2014 è prevista una variazione netta della spesa con un aumento di 3,6 miliardi, sintesi fra 7,6 miliardi di euro di maggiori spese e 4 miliardi di euro di tagli. Nel biennio successivo la manovra implica una riduzione netta delle spese pari a circa 3,4 miliardi nel 2015 e 5,9 miliardi nel 2016.

FONTE: liberoquotidiano.net

 

domenica 22 dicembre 2013

La Camera rivoluziona le Province. Ma scontro Forza Italia-governo


Montecitorio dà l’ok al ddl. Previsti nuovi Consigli e 9 città metropolitane. Delrio: «Passo avanti enorme». Brunetta: «Non le abolisce, è una truffa».

Con il voto arrivato in tardissima serata a Montecitorio la Camera approva il disegno di legge sulle Province e le città metropolitane (277 voti favorevoli, 11 contrari di Sel)). Il ddl prevede la trasformazione dei consigli provinciali in assemblee dei sindaci, che lavoreranno a titolo gratuito; istituzione di 9 città metropolitane; disciplina della fusione dei comuni: sono questi i tratti salienti del disegno di legge Delrio su «città metropolitane, province, unioni e fusioni di comuni». 

«La Camera questa notte ha approvato il ddl di riordino delle città metropolitane, province, unioni e fusioni dei Comuni, che ora andrà al Senato. Il ddl è passato con 277 sì dei deputati e delle deputate della maggioranza, 11 voti contrari, soprattutto Sel. Sono usciti dall’aula senza votare Forza Italia, Movimento 5 Stelle e Lega Nord. 
Dopo tanti anni di attesa, un passo avanti enorme per semplificare i livelli amministrativi del paese ed essere più vicini a cittadini e imprese» ha spiegato su Facebook il ministro per gli Affari regionali, Graziano Delrio, rivendicando il merito del ddl. 

Delrio elenca «i punti salienti: le 9 città metropolitane, dopo trent’anni, per dare slancio alla crescita del paese; per la prima volta non ci saranno le elezioni provinciali e, in attesa del disegno costituzionale di abolizione, le province si riducono a enti leggeri con poche funzioni, molto utili ai comuni; i piccoli comuni potranno lavorare più facilmente insieme, nelle unioni, con meno burocrazia e più autonomia; si lavora alla soppressione di centinaia di enti impropri e inutili e si inizia la riorganizzazione dello Stato. Se tutto questo sembra poco...» conclude il ministro. 

Di parere opposto Renato Brunetta: «Il disegno di legge sulle province, approvato ieri dalla Camera dei deputati, si può definire a tutti gli effetti una vera e propria legge truffa» spiega il presidente dei deputati di Forza Italia che già ieri avevano dato battaglia in Aula uscendo al momento del voto. «Questa nuova legge - sostiene - non abolisce le province, ma crea enti di secondo livello: di fatto trasforma le province in enti di area vasta, li sottrae alla rappresentanza democratica, escludendo ogni tipo di elezione diretta, con l’obiettivo di rendere le nuove province e le nuove città metropolitane assemblee monocolore di sinistra».  

Secondo Brunetta, si tratta di un «provvedimento incostituzionale, confuso, con norme ingarbugliate, che non semplifica e non sburocratizza, ma aumenta il disordine sulla gestione dei servizi a livello locale creando nuovi problemi a imprese e cittadini. I presunti risparmi? Oggi - spiega - le province costano 8,6 miliardi l anno per le spese ordinarie. 2,2 miliardi di euro l anno è il costo dei dipendenti. Gli impiegati e i dirigenti sono 61.000, per 1.272 consiglieri provinciali e 395 assessori. Quanto farà risparmiare il ddl approvato ieri? Solo i 100 milioni delle mancate elezioni, a fronte di 8 miliardi di spese correnti. Praticamente nulla. Il disegno di legge del ministro Delrio è stato inoltre sconfessato anche in occasione del discorso del presidente del Consiglio sulla linee programmatiche del suo governo dello scorso 11 dicembre alla Camera: nel suo passaggio sul futuro delle province, il premier Letta ha, di fatto, rinnegato l’impalcatura di stampo squisitamente propagandistico messa in piedi dal ministro Delrio per giustificare la creazione di nuovi centri di potere». 

«Forza Italia - prosegue Brunetta - aveva presentato una proposta specifica sul tema, prevedendo un intervento chiaro, lineare: via le province, nessun ente di secondo livello , un progetto in grado di alleggerire definitivamente le strutture che adesso governano gli enti territoriali. Una proposta che mirava a garantire un passaggio di competenze e funzioni definito una volta per tutte, in attesa della riforma costituzionale in grado di abolire definitivamente le province, per disegnare una Repubblica delle autonomie fondata su due soli livelli territoriali di diretta rappresentanza delle rispettive comunità: le regioni e i comuni. E invece niente, dal governo solo una truffa: demagogia, strategia dell annuncio e zero serietà. Il frutto avvelenato è questo provvedimento, una scelta del tutto sbagliata che non porterà nessun beneficio ma solo costi e ulteriore peso burocratico per i cittadini».  

FONTE: lastampa.it

venerdì 20 dicembre 2013

DATI AGGHIACCIANTI DIVULGATI DA CONFINDUSTRIA: DAL 2007, PERSO IL 12% DI PIL, 3.500 A PERSONA E TASSE NEL 2014 AL 44%.

DATI AGGHIACCIANTI DIVULGATI DA CONFINDUSTRIA: DAL 2007, PERSO IL 12% DI PIL, 3.500 A PERSONA E TASSE  NEL 2014 AL 44%.
Numeri da bollettino di guerra, che rispecchiano tutta la disperazione e la situazione di grave difficoltà che gli italiani stanno vivendo sulla loro pelle, ormai da anni.
Mentre il premier Enrico Letta continua a fare l'ottimista, prevedendo addirittura un Pil in crescita del 2% nel 2015, i dati che vengono snocciolati dai vari centri studi e think tank raccontano una realtà completamente diversa, che stride non poco con i toni celebrativi del governo.
La fotografia della crisi arriva stavolta con il rapporto Scenari economici del Centro Studi di Confindustria. Dallo studio emerge che l'Italia ha perso più del 12% di Pil dal 2007, e che da allora sono andati in fumo oltre 200 miliardi di reddito. La speranza è sulle riforme, che devono essere però incisive. Solo con "incisive riforme strutturali si può recuperare il terreno perduto". Una crisi, insomma, che ha provocato "danni di una guerra".
Di fatto, rispetto alle "traiettorie già modeste del decennio 1997-2007 il livello del Pil potenziale è più basso del 12,6%, in altre parole sono andati bruciati oltre 200 miliardi di euro di reddito a prezzi 2013, quasi 3.500 euro per abitante". 
Il dramma della disoccupazione è evidente. L'esercito di disoccupati - persone a cui manca lavoro, totalmente o parzialmente, è di 7,3 milioni, due volte la cifra di sei anni fa. A partire dal 2014, secondo il Centro Studi, si dovrebbe però arrestare l'emorragia occupazionale.
L'impatto della Legge di Stabilità sulla crescita sarà "molto piccolo", di 0,1 o 0,2 punti sul Pil del 2014, scrive il Centro studio nel rapporto "La difficile ripresa. Cultura motore dello sviluppo". Di fatto, la manovra è una "occasione mancata".
Il Centro Studi di Confindustria rivede al ribasso le stime del Pil per il 2013 diffuse a settembre. Nel nuovo scenario è previsto un calo del Pil dell'1,8% quest'anno contro il -1,6% precedentemente calcolato. Per il 2014 gli economisti di viale dell'Astronomia prevedono un incremento dello 0,7% e nel 2015 dell'1,2%. Riguardo al 2013, la revisione delle stime del Pil "deriva da una variazione congiunturale di un decimo peggiore nel secondo trimestre (-0,3% contro -0,2%) e nel quarto (0,2% contro 0,3%)", si legge.
E per la prima volta viene stilato anche uno scenario alternativo, nel caso in cui le cose dovessero andare peggio. Sulla ripresa economica soffiano "venti contrari. Se il credit crunch proseguirà nel 2015 e la debolezza dell'economia renderà necessaria una manovra di un punto di Pil, nel 2014 il Pil salirà solo dello 0,4% e nel 2015 si avrà una crescita zero. E' questo lo scenario più negativo per l'economia italiana simulato dal Centro Studi di Confindustria negli ultimi Scenari economici. 
"Questa simulazione - hanno spiegato gli economisti - tutt'altro che astratta e ben presente a molti analisti di banche d'investimento internazionali, suggerisce che occorre rimuovere ogni causa interna di turbolenza e incertezza e prendere rapidamente decisioni che elevino il Paese su un più alto sentiero di crescita".
L'andamento dell'economia fa centrare l'obiettivo dei conti pubblici fissato per il 2014 con il deficit al 2,7% del Pil, non quello per il 2015 (2,4%). Il saldo strutturale non continua ad avvicinarsi al pareggio (1% del Pil tra due anni), nonostante l'ampio avanzo primario (4,5% del Pil al netto del ciclo, mezzo punto meno di quanto stimato tre mesi fa). Questo risultato "è stato ottenuto varando manovre per complessivi 109 miliardi (6,9% del Pil) dal 2009 in poi. Di cui 3 punti di maggiori entrate e 3,9 di minori spese".
Il debito pubblico, al netto dei sostegni europei e in rapporto al Pil, sale ancora nel 2014 (al 129,8%) per poi iniziare a flettere nel 2015 (128,2%); "una flessione tutta dovuta a un punto di privatizzazioni e dismissioni omogeneamente distribuite".
Preoccupazioni per il tessuto sociale italiano, caratterizzato sempre di più da continue proteste.  "Il pericolo maggiore (che si presenta nella strada per la ripresa) è il cedimento della tenuta sociale", con il "montare della protesta che si incanala verso rappresentanze che predicano la violazione delle regole e la sovversione delle istituzioni".  "Basta poco perché gli eventi prendano una piega infelice". Il destino dell'Italia "si ripete, con il coagularsi di importanti gruppi politici anti-sistema".
Sulla pressione fiscale, questa scenderà marginalmente al 43,9% nel 2014 dopo aver toccato il record nel 2013 con il 44,3% di Pil. (wsi)

FONTE: ilnord.it 

martedì 17 dicembre 2013

Domani la Stabilità alla Camera, idea fiducia. Via al fondo per tagliare il cuneo fiscale

Letta incontra i sindacati a Palazzo Chigi: più risorse per il lavoro. La Commissione al lavoro: tetto di 300mila euro per cumulo reddito-pensione. Via libera alla sanatoria sulle spiagge, il governo ritira l'emendamento Consob e dà l'ok al fondo taglia-cuneo. Salta la Tasi leggera, il tetto torna al 2,5 per mille. Ok a stadi ed esodati. Brunetta: "La Commissione è un suk"

Mentre procedono i lavori sulla Legge di Stabilità, con le proposte di governo e relatori destinate alla Commissione Bilancio della Camera, il governo pensa di ricorrere alla fiducia anche a Montecitorio per sbloccare nel minor tempo possibile la Manovra. La notizia è arrivata dal sottosegretario all'Economia, Pierpaolo Baretta, che parlando a Radio Anch'io ha detto "è possibile che ci sia" una richiesta del governo di porre il voto di fiducia a Montecitorio. Per Baretta si tratta di una decisione che "viene sempre presa all'ultimo minuto, anche sulla base degli emendamenti". Il sottosegretario segnala la "necessità di chiudere entro il 23". Se "non c'è una condivisione di tutti i gruppi o se c'è un inasprimento" della discussione in Aula sarà possibile chiedere la procedura accelerata, visto "che dobbiamo garantire che la Legge di Stabilità si chiuda nei tempi obbligatori".

Proprio in tema di tempistiche, si registra uno slittamento da oggi a domani mattina, alle 8.30, l'avvio dell'esame del disegno di legge, accompagnato a quello di bilancio, da parte dell'Aula della Camera: la decisione è stata presa dalla conferenza dei capigruppo di Montecitorio. Le votazioni sui provvedimenti sono previste a partire dalle 15.

Che il clima non sia dei più concilianti è poi testimoniato dalle parole di Renato Brunetta (capogruppo di Fi); dagli stessi microfoni e parlando della Manovra, Brunetta ha detto di aver "visto delle cose inenarrabili. Ho visto un suk in Commissione Bilancio. La maggioranza era riunita con il governo non per trovare soluzioni per gli italiani ma per fare marchette, provvedimenti ad personam per singole categorie, al fine di acquisire i consensi", il suo giudizio.

Il leader degli industriali, Giorgio Squinzi, si è detto scettico sul provvedimento, anche se ha ribadito che "non c'è alternativa". Il numero uno di Confindustria, aggiungendo il suo punto di vista sulla situazione del Paese, ritiene "giustificate" le proteste dei cosiddetti Forconi anche perché "purtroppo il malessere è molto diffuso". Anche se, in ogni caso, stigmatizza il comportamento tenuto dai manifestanto in questi giorni: "In nessun caso - sottolinea Squinzi - le conseguenze della crisi devono sfociare in azioni di protesta violenta che vanno condannate fermamente. Bloccare il paese e il lavoro non serve a risolvere i problemi".

Mentre impazza insomma la polemica politica, il presidente del Consiglio, Enrico Letta, ha incontrato per due ore a Palazzo Chigi i segretari generali di Cgil, Cisl, Uil e Ugl, Susanna Camusso, Raffaele Bonanni, Luigi Angeletti e Giovanni Centrella. Sul tavolo le richieste di modifica alla stabilità. Nel corso della riunione, secondo
Quanto si apprende da fonti sindacali, si è parlato dell'emendamento governativo sul fondo taglia-cuneo per imprese e lavoratori. Inoltre, è stata affrontata, in generale, la situazione del paese e da parte di letta è arrivato un invito al senso di responsabilità. Centrella ha detto che al governo "stanno lavorando per portare maggiori risorse per ridurre la pressione fiscale sui lavoratori. C'è l'intenzione di fare questo". Nel fine settimana i sindacati avevano protestato a Montecitorio proprio per chiedere maggior tutela di redditi da lavoro e pensioni. Per Bonanni "ci sono segnali" ma "non è tutto quello che ci aspettiamo".

In attesa degli ulteriori sviluppi, dunque, si registra nella notte il via libera della commissione Bilancio a un emendamento che introduce un tetto di 300 mila euro al cumulo tra redditi da pensione e redditi da lavoro per i dipendenti pubblici. L'emendamento, presentato dal Pd e poi riformulato con il parere favorevole del governo, prevede che il tetto del cumulo valga anche per "i vitalizi, anche conseguenti a funzioni pubbliche elettive". Mentre "sono fatti salvi i contratti in corso fino alla loro naturale scadenza". Infine, prevede che "gli organi costituzionali applichino i principi di cui al presente comma nel rispetto dei propri ordinamenti". Non viene dunque previsto un divieto di cumulo, bensì viene posto un tetto massimo. "Chi percepisce una pensione, se svolge anche un'altra attività pubblica, sa che non può andare oltre i 300mila euro", ha spiegato in comissione il relatore alla Stabilità, Maino Marchi.

Stando sempre ai contenuti della Legge, il governo, tramite il vice ministro Stefano Fassina, ha annunciato il ritiro dell'emendamento che portava da 3 a 5 il numero dei componenti del Consiglio direttivo della Consob. Nella notte la Commissione ha approvato anche un emendamento che proroga di un anno, dal 2016 al 2017, gli indennizzi per le aziende in crisi. E uno, a firma di Ettore Rosato del Pd, che mette fine alla duplicazione delle banche dati per gli autoveicoli: verrà istituito un unico archivio telematico nazionale per il Pra e la motorizzazione in modo da ottenere un risparmio. Ancora, dalla Commissione arriva l'ok all'emendamento del relatore che prevede una sanatoria dei contenziosi sui canoni e gli indennizzi per l'utilizzo dei beni demaniali marittimi e che stabilisce un riordino della normativa sulle concessioni demaniali da effettuare entro maggio. La proposta di modifica prevede che il soggetto interessato possa pagare in un'unica soluzione il 30% delle somme dovute all'erario o rateizzare fino a un massimo di 6 tranche annuali un importo pari al 60% del dovuto oltre gli interessi legali. La domanda per aderire alla sanatoria dovrà essere presentata entro il 28 febbraio.

Slitta invece ufficialmente il pagamento della mini-Imu del 2013 al 24 gennaio 2014., dall'iniziale 16 gennaio. Via libera pure all'applicazione dell'imposta sostitutiva al 12% sulla rivalutazione delle quote della Banca d'Italia e al fondo taglia tasse per le imprese e i lavoratori con le risorse della spending review e derivanti dalla lotta all'evasione fiscale. Ne beneficeranno "in egual misura" imprese e lavoratori. Le risorse destinate ai lavoratori dovranno essere divise con i pensionati; mentre per quanto riguarda le imprese, la quota va ripartita tra attività produttive, lavoratori autonomi e imprese in contabilità semplificata.

Sul versante degli esodati, si prevede lo stanziamento di 950 milioni di euro dal 2014 al 2020 per salvaguardare altre 17 mila persone (il testo contiene già la tutela per 6 mila soggetti). E' passato anche l'emendamento per l'ammodernamento e la costruzione di impianti sportivi, ma senza la realizzazione di nuovi complessi di edilizia residenziale. Tra i nodi che restano da sciogliere ci sono quelli della Tobin tax e della Tasi leggera. Per entrambi si va verso un nulla di fatto. La nuova tassa sulla casa resterà quindi nella formulazione approvata dal Senato che vede una forbice dell'aliquota tra l'1 e il 2,5%. Tetto quest'ultimo, viene evidenziato, inferiore di un punto, comunque, alle richieste dei Comuni.

FONTE: repubblica.it

lunedì 16 dicembre 2013

I costi della politica, l'allarme della Uil: "Il totale è 23 miliardi, 757 euro a cittadino"



Il 5 per cento degli occupati vive di politica. I costi della politica, diretti e indiretti, ammontano a circa 23,2 miliardi di euro, tra funzionamento di organi istituzionali, società pubbliche, consulenze e costi per mancati risparmi derivanti dalla sovrabbondanza del sistema istituzionale. E' quanto rileva uno studio della Uil presentato alla stampa dal leader Luigi Angeletti e dal segretario confederale Guglielmo Loy. Si tratta di una somma pari a 757 euro medi annui per contribuente, che pesa l'1,5% sul Pil. Sono oltre 1,1 milioni le persone che vivono direttamente o indirettamente di politica, il 5% del totale degli occupati. Per il funzionamento degli organi istituzionali (Stato centrale e autonomie territoriali), nel 2013 si stanno spendendo oltre 6,1 miliardi di euro, in diminuzione del 4,6% rispetto all'anno precedente (293,3 milioni di euro in meno); per le consulenze 2,2 miliardi di euro e per il funzionamento degli organi delle società partecipate, 2,6 miliardi di euro; per altre spese (auto blu, personale di fiducia politico, direzione Asl) 5,2 miliardi di euro; per il sovrabbondante sistema istituzionale 7,1 miliardi di euro. 

FONTE: leggo.it

domenica 15 dicembre 2013

Lavoro e under 35, l’allarme dell’Istat: circa 4 milioni non studiano né lavorano

 I neet (not in education, employment or training) tra i 15 e i 34 anni sono aumentati di oltre 300.000 unità rispetto al terzo trimestre del 2012

È di nuovo allarme Istat. Oltre il 27% dei giovani tra i 15 e i 34 anni non studia, non lavora e non è in un percorso di formazione. Lo afferma l’istituto nazionale di statistica in una tabella sui cosiddetti Neet ampliata alla fascia dei 30-34 anni, secondo la quale gli under 35 in questa condizione nel terzo trimestre sono 3,75 milioni. Al Sud la percentuale è del 36,2%, oltre 2 milioni di persone.  

I neet (not in education, employment or training) tra i 15 e i 34 anni sono aumentati di oltre 300.000 unità rispetto al terzo trimestre del 2012 passando da 3,43 milioni a 3,75 milioni toccando la quota record del 28,5% (era 25,8% nel terzo trimestre 2012). Finora l’Istat aveva diffuso le rilevazioni sui neet fino ai 29 anni (27,4% nel terzo trimestre 2013 a fronte del 24,9% nello stesso periodo del 2012), fascia di età nella quale coloro che non studiano né lavorano sono 2,564 milioni contro i 2,344 del terzo trimestre 2012. Nella media 2012 i neet under 35 in Italia erano il 25% del totale dei giovani (17,3% la media nell’area euro), percentuale inferiore solo alla Bulgaria e alla Grecia. 

Oltre la metà dei neet (2.010.000 su 3.755.000) sono al Sud con una percentuale che sfiora il 40% (il 39,6% degli under 35 contro il 36,9 del terzo trimestre 2012). Se si guarda agli under 29 nel Mezzogiorno sono fuori dal percorso lavorativo, formativo e di istruzione il 36,2% dei giovani a fronte del 34,7% del terzo trimestre 2012 (1,344 milioni su 2,564 milioni di neet under 29). 

Nel complesso ci sono quasi 1,2 milioni di neet tra i 30 e i 34 anni di cui 666.000 al Sud. Su 3,755 milioni di neet under 35 complessivi ci sono oltre 1,5 milioni di giovani con bassissima scolarità (fino alla licenza media) mentre 1,8 milioni hanno il diploma di maturità e 437.000 hanno nel cassetto una laurea o un titolo post laurea. Le donne neet sono 2.112.000 mentre gli uomini sono 1.643.000.

FONTE: lastampa.it

sabato 14 dicembre 2013

Nymphomaniac arriva in Italia, il film scandalo sarà distribuito dalla "Good Films" di Lapo Elkann



Il film scandalo "Nymphomaniac" arriverà anche in Italia. La pellicola di Lars Von dopo tante polemiche giunge nel nostro paese e sarà distribuita nelle sale della Penisola grazie alla Good Films, società posseduta per il 30 percento da Lapo Elkann e presieduta dalla sorella Ginevra.  Il film parla delle vicende di una ninfomane interpretata da Charlotte Gainsbourg. Ha subito suscitato scandalo promettendo di sconvolgere gli spettatori come pochi altri film hanno saputo fare in precedenza. All’interno della pellicola, infatti, ci sono alcune scene di sesso esplicito per la cui realizzazione il regista danese si è servito di attori pornografici, i cui genitali sono stati inseriti digitalmente nelle scene girate dagli altri protagonisti della pellicola.
Tra gli altri protagonisti del film ci sono Uma Thurman, Shia LaBeouf, William Dafoe e Christian Slater e nei manifesti promozionali ciascuno di loro è stato rappresentato all’apice di un orgasmo. 

FONTE: leggo.it

venerdì 13 dicembre 2013

Letta: «In Cdm abolizione finanziamento ai partiti entro l'anno, l'ho promesso»



«Avevo promesso ad aprile abolizione finanziamento pubblico partiti entro l'anno. L'ho confermato mercoledì. Ora in Cdm manteniamo la promessa». Lo scrive su Twitter il premier Enrico Letta. Un tweet simile è arrivato da Gaetano Quaglierello, ministro per le riforme e dal vice premier Angelino Alfano: «In Cdm abbiamo appena abolito il finanziamento pubblico ai partiti. Per decreto. Impegno mantenuto!». Matteo Renzi, che si preparava ad annunciare un provvedimento simile domenica a Milano, per il momento non commenta, ma rilancia dal suo profilo Twitter il messaggio di Letta.
In una conferenza stampa Letta spiega: «E' la linea che avevamo indicato dall'inizio, è il programma di governo. Adesso è legge. I cittadini potranno contribuire volontarimanete attraverso il sue per mille». «Quando il governo è nato - prosegue Letta - tra le priorità aveva l'abolizione del finanziamento con una riforma e un nuovo sistema basato sulla volontarietà dei cittadini e indicammo entro fine anno il termine perché la riforma ha una fase transitoria e scavallando l'anno ci sarebbe stato un rinvio».
Nel Dl sullo stop al finanziamento pubblico ai partiti «c'è l'obbligo di certificazione esterna dei bilanci dei partiti. Negli anni scorsi uno dei grandi probemi è statà l'opacità dei bilanci, questo meccanismo molto stringente renderà impossibile che si torni agli scandali degli anni scorsi».

Grillo «Basta con le chiacchere Enrico Letta. Restituisci ora 45 mln di euro di rimborsi elettorali del Pd a iniziare da quelli di luglio». Così Beppe Grillo, in un tweet , commenta il via libera del cdm all'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, rilanciando l'hashtag '#bastaunafirmà. «Per rinunciare ai finanziamenti pubblici è sufficiente non prenderli come ha fatto il M5S che ha rinunciato a 42 milioni di euro. Il decreto legge di Letta è l'ennesima presa per il c....» conclude il leader dei Cinque Stelle.

Forza Italia contraria «Il governo Letta la presenta come una conquista, io penso invece che l'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti sia un grave errore che inciderà profondamente ed in negativo sulla qualità della nostra democrazia». Lo dichiara il senatore Fi-Pdl Altero Matteoli. Mentre per Sandro Bondi si tratta di un decreto «contra personam», che colpisce, limitando i finanziamenti da parte dei cittadini, Silvio Berlusconi: un intento che Bondi attribuisce anche agli Ncd che oggi «si scoprono improvvisamente moralizzatori della politica».

FONTE: ilmessaggero.it

mercoledì 11 dicembre 2013

«Traffico di esseri umani nel Sinai», profughi rapiti per il riscatto



l Sinai da terra dei profeti a luogo di detenzione e tortura per le decine di migliaia di persone alla deriva provenienti soprattutto dal Corno d'Africa, vittime così anche di una tratta degli schiavi venduti al miglior offerente.
E' la denuncia contenuta nel rapporto "Il traffico internazionale di esseri esseri umani: Sinai e oltre", presentato oggi pomeriggio a Palazzo San Macuto con il patrocinio della Camera dei deputati, stilato da un team di docenti e ricercatori universitari, giornalisti e operatori di associazioni umanitarie europei.

Anima dell'iniziativa - frutto di anni di indagini e interviste sul campo - don Mussie Zerai, sacerdote eritreo tra i primi a denunciare la tragedia dei profughi schiavi nel Sinai e autore di un dossier esplosivo per l'Unione europea sulle condizioni dei cosidetti centri di accoglienza in Libia.

PRIGIONIA E TORTURE. Seguendo le vicissitudini di Berhan, un giovane eritreo raffigurato sulla copertina del volume (lasciò il suo paese a 15 anni, ora vive in Svezia), si analizza cosa accade ai rifugiati - cinquemila ogni mese - che si dirigono nei campi profughi in Etiopia o in Sudan: molti vengono rapiti e condotti nel Sinai da bande armate agevolate da soldati, polizie e servizi segreti dei vari paesi, compreso l'Egitto. Nel Sinai il destino è segnato da prigionia, tortura e violenze di ogni tipo (comprese quelle sessuali), in attesa di essere venduti oppure del riscatto delle famiglie rimaste nel paese d'origine. Dal 2009 ad oggi si stima che siano stati pagati riscatti per 25mila persone, per un valore di circa 600 milioni di dollari. Poi dopo il rilascio c'è il rischio del respingimento violento anche da parte di Israele. Oppure di un'altra odissea fino in Libia, dove trovano ancora detenzione, violenze e lavoro forzato. Poi il tentativo di sbarcare in Europa, con Lampedusa che funge da faro ma, a volte, anche da luogo di morte, come accaduto il 3 ottobre per quasi 400 migranti.
GLI APPELLI. Il rapporto si conclude con raccomandazioni alle autorità europee e a quelle dei paesi coinvolti nella tratta di esseri umani. All'Egitto si chiede di porre fine sia all'impunità per trafficanti e sequestratorie che alle deportazioni di ritorno. A Israele, alla Libia e all'Europa vengono sollecitati impegnicontro le deportazioni e le politiche di respingimento. Alla Commissione di Bruxelles si chiede l'applicazione delle direttive per la protezione delle vittime del traffico di esseri umani, anche se avvenuto fuori dall'Europa. E al Consiglio di sicurezza dell'Onu si sollecitano nuove e più pesanti sanzioni nei confronti dell'Eritrea. Infine si auspica l'apertura di una specifica inchiesta della Corte penale internazionale. 

FONTE: Stefano Quondam (ilmessaggero.it)

martedì 10 dicembre 2013

Duecento miliardi volano all'estero perché esportarli è sempre più facile


Gli italiani continuano a nascondere oltre frontiera i propri risparmi. Grazie alle complicità delle banche e agli scarsi controlli farlo presenta rischi minimi. Soprattutto attraverso le Alpi, verso la Svizzera.


Si fanno chiamare "corrieri". Viaggiano tra l'Italia e la Svizzera, attraversando il confine con il loro carico prezioso: interi capitali in contanti, che ogni giorno, di nascosto, vengono prelevati dalle banche nostrane e trasferiti in quelle elvetiche. Un meccanismo che continua a girare senza intoppi, nonostante la recente offensiva che il governo italiano  -  affiancato dagli esecutivi di altri paesi europei  -  sta muovendo nei confronti del segreto bancario: ovvero, l'uovo di Colombo, la pietra angolare sulla quale si basa l'intero ingranaggio.

Paura del Pci e di Monti. "Era il 1934, quando il governo federale decise di introdurre questa norma", racconta un ex dirigente di banca svizzero che per anni si è occupato dell'importazione di capitali italiani. "Ricordo che alla vigilia delle elezioni politiche del 1976, quando il Pci sfiorò il sorpasso sulla Dc, in una sola settimana furono contrabbandati in Ticino qualcosa come cento miliardi di lire dell'epoca. Una situazione del genere si è nuovamente verificata nel 2011, durante la nascita del governo Monti". 

L'assicurazione. L'iter dell'operazione è perfettamente rodato: la possibilità di errori si avvicina allo zero. "Le banche italiane fanno da tramite tra il cliente e la banca svizzera: i corrieri sono in contatto diretto con gli istituti di credito, che li mobilitano a seconda delle esigenze. Alcuni corrieri, addirittura, stipulano delle vere e proprie polizze assicurative: nel caso improbabile che si verifichi un incidente, i soldi arriveranno comunque a destinazione". 

Quanti e dove. I capitali nascosti oltre frontiera da cittadini italiani oscillavano tra 124 e 194 miliardi di euro a fine 2008: l'ultimo studio redatto dalla Banca d'Italia, risalente al 2011, parla di una cifra compresa tra il 7,9% e il 12,4% del Pil (Prodotto interno lordo). Per quanto riguarda le destinazioni d'approdo, è interessante prendere in esame i dati riassuntivi dello scudo fiscale 2009-2010: all'epoca, il 68,8% dei capitali scudati si trovavano in Svizzera, il 7,9% in Lussemburgo, il 4,8% a San Marino, il 4,5% a Monaco. Percentuali piuttosto simili possono essere estratte dall'ultimo rapporto annuale dell'Unità di informazione finanziaria della Banca d'Italia, che ha preso in esame i bonifici che interessano controparti o intermediari residenti in aree geografiche "sensibili" per quanto riguarda la lotta al riciclaggio: la Svizzera si conferma la piazza più attiva, con il 60% dei flussi in entrambe le direzioni. 

La musica sta per cambiare. Eppure molto presto la musica potrebbe cambiare: lo scorso 18 ottobre Berna ha siglato la convezione sullo scambio automatico delle informazioni tra autorità fiscali. Nel contempo, il Gruppo d'azione finanziaria internazionale e il G20 hanno fatto pressione sul governo elvetico affinché elabori una proposta di legge che introduca i reati fiscali qualificati come reati presupposto del reato di riciclaggio. La deadline è il 2016: in caso di mancato adeguamento, il paese degli orologi e del cioccolato sarà inserito nella black list. Il vecchio segreto bancario, insomma, sembra avere i giorni contati: tanto che il governo Letta sta già ragionando su come gestire il rientro in patria dei capitali non dichiarati, e ha recentemente annunciato, tramite il ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni, l'adozione di "una serie di norme per favorire tale flusso".

Le strade alternative. Tutto risolto, insomma? Non esattamente. "Molti capitali vengono fatti viaggiare lungo strade alternative, molto difficili da sbarrare", spiega il nostro esperto italo-elvetico. Ci sono, ad esempio, i soldi sporchi della malavita organizzata: che vengono affidati a vere e proprie teste di legno, titolari di regolarissime società svizzere. "Queste teste di legno utilizzano il denaro per dar vita a una lunga catena di operazioni transazionali", assicura  "Dopodiché i capitali tornano in Svizzera, vengono fatti riposare per un po', e infine vengono reinvestiti nel mercato italiano. La Finanza si mette al lavoro e tenta di ricostruire i vari passaggi dell'operazione: ma ci vuole tempo e ci vogliono le rogatorie. È come cercare di svuotare l'oceano con un cucchiaino".

FONTE: MARIA ELENA SCANDALIATO e ANDREA SCERESINI

domenica 8 dicembre 2013

Lui 60, lei 11: per i giudici è amore

Dopo due condanne a 5 anni per violenza sessuale, la Cassazione rinvia in Appello: tenuità del fatto, valutare le attenuanti generiche

Siamo abituati alle bizzarre decisioni della Cassazione, ma quella riportata dalla stampa calabrese supera i limiti della comprensione umana.  La pena per la violenza sessuale ai danni di un minore può essere ammorbidita se ci sono le prove dell'amore della vittima per il suo carnefice. Quello che è successo a Catanzaro assume tratti preoccupanti. Le toghe della Cassazione si sono trasformate in giudici di un presunto sentimento, ancor prima che dei reati. Come raccontato dal Quotidiano della Calabria, una donna affida la propria figlia a Pietro Lamberti, un impiegato dei servizi sociali del Comune, con la speranza che possa aiutarla a risolvere i suoi problemi scolastici. Lui ha 60 anni, lei undici. Ma ben presto il loro rapporto si trasforma in altro. Prima il corteggiamento («Ma tu mi ami?», gli chiedeva la bambina); poi la paura dell'uomo di essere scoperto (Lamberti ha più volte invitato la ragazzina a tenere celato il loro segreto e le diceva di non chiamarlo nel weekend perché doveva stare con la famiglia); infine il sospetto di aver oltrepassato il limite e di avere gli occhi della madre puntati addosso. Ed è stata proprio la madre, preoccupata dall'eccessiva e morbosa premura di Lamberti nei confronti della figlia, a far partire le indagini tre anni fa, dopo la confessione dell'undicenne. E così la polizia ha piazzato le microspie nella villa estiva di Lamberti, a Roccelletta di Borgia, sulla costa jonica catanzarese. Decine di intercettazioni hanno documentato la relazione tra i due. L'ultima, sempre in base a quanto riportato dal Quotidiano della Calabria, ha fatto scattare il blitz: «Tesoro, non cacciarmi le mani».

I poliziotti hanno fatto irruzione e li hanno trovano nudi, sotto le lenzuola. All'epoca la giovane non andava più a scuola e, secondo quanto riferito dalla polizia, si trovava in un «assoluto stato di assoggettamento psicologico». Lamberti finisce in manette, per lui si spalancano le porte del carcere, ma esce poco tempo dopo per problemi di salute. Il giudice di primo grado lo condanna per violenza sessuale a cinque anni, superando i 4 anni e 4 mesi chiesti dalla Procura. La famiglia si costituisce parte civile, ottiene 40mila euro di risarcimento, ma vuole andare avanti, fino alla condanna definitiva. In secondo grado la pena viene confermata. Ma è al gradino finale che arriva il colpo di scena: la Suprema Corte invece di mettere la parola fine, conferma la condanna, ma rinvia in Appello parlando di «tenuità del fatto» e invitando a considerare la richiesta di eventuali attenuanti generiche. Motivo? I due erano innamorati. A undici anni si è consapevoli del significato della parola amore? La decisione rischia così di alleggerire la pena. In nome di un presunto sentimento. Una decisione che farà molto discutere e che soprattutto potrebbe costituire un pericoloso precedente.
Tra l'altro non è la prima volta che la magistratura usa le tavole dell'amore invece che quelle delle leggi. Una storia simile è capitata nel febbraio del 2008. Il tribunale di Vicenza infatti aveva inflitto una condanna «mite» (un anno e 4 mesi) a un macellaio di 34 anni che aveva avuto rapporti sessuali con una tredicenne. Il tutto perché lei era «consapevole e consenziente» e lui «innamorato». All'imputato non era stato contestato il reato di stupro, ma quello di atti sessuali con una minorenne. Così come non era stata presa in considerazione la tredicenne che dichiarò di essere stata convinta a salire in auto e indotta ad avere rapporti sessuali. Prevalse la tesi della difesa, secondo la quale tra i due si era instaurato un rapporto di amore. All'epoca insorse l'Osservatorio sui diritti dei Minori: «A prescindere dalla volontà o meno di una tredicenne di avere rapporti sessuali con un adulto, è comunque esecrabile che una legge dello Stato preveda riduzioni di sorta». Ora il copione si ripete.

FONTE: Domenico Ferrara (ilgiornale.it)

sabato 7 dicembre 2013

Minacce, caos e serrate. L’escalation dei Forconi “Così bloccheremo l’Italia”

L’allerta del Viminale:convocazione dei comitati . Il governo: toni preoccupanti. Il ruolo degli autotrasportatori. Sui siti e su Facebook corrono accuse e smentite

Un’escalation. Il movimento dei forconi si prepara alla piazza in uno strano clima di minacce vere o presunte, voci sulle manifestazioni che rimbalzano dalle pagine Facebook alle vie delle città, frenate nei comunicati ufficiali e prese di distanza da parte dei sindacati. 
Cinzia Franchini, presidente nazionale della CNA-Fita,che nei giorni scorsi ha revocato la proclamazione di fermo indetta per il prossimo lunedì oggi ha denunciato di aver subito minacce. «Ti ritroverai con una forca in gola», si legge in un manifesto anonimo incollato davanti alla sede del sindacato. Il fermo durerà fino a venerdì ma il timore è che la protesta possa bloccare tutto lo Stivale così come è avvenuto due anni fa. Il governo non nasconde una certa preoccupazione sia per i contraccolpi al sistema produttivo che per i problemi di sicurezza che potranno derivare dai blocchi delle strade.  

«Ritengo sia doveroso chiarire che lunedì 9 dicembre non è un fermo del settore dell’autotrasporto - ha sottolineato in una nota il sottosegretario di stato con delega all’autotrasporto, Rocco Girlanda - ma solo di alcuni che aderiscono a movimenti di protesta concomitanti con altre categorie che hanno in animo forme di dissenso eclatanti a livello nazionale e che stanno assumendo in questi giorni preoccupanti toni di carattere rivoluzionario, dal quale si discostano tutte le maggiori associazioni dei vettori». 

La psicosi  

Non ci sono programmi ufficiali, ma l’annunciata manifestazione rischia di creare problemi ovunque. Negli ultimi giorni, in Calabria, l’annunciata manifestazione ha provocato una prima psicosi e tanta preoccupazione, al punto che non sono mancate le code ai supermercati e presso i distributori di carburanti. In rete rimbalzano voci di picchietti questa mattina davanti al centro commerciale Le Gru di Grugliasco, alle porte di Torino, e davanti ad altre grandi catene di supermercati del quartiere Mirafiori del capoluogo torinese. In realtà non succede nulla. Forse la musica sarà diversa lunedì all’alba, quando nel capoluogo tre saranno ci saranno tre presidi: in piazza Derna, in piazza Pitagora e - più tardi - in piazza Castello. Molti i negozi soprattutto del centro e del quartiere Cit Turin che espongono cartelli con scritto che lunedì non garantiscono l’apertura.  

Le smentite  

«L’autotrasporto italiano non si fermerà. Le maggiori sigle sindacali del Paese che rappresentano il 90% degli operatori del trasporto, Fai-Conftrasporto, Anita, Fita Cna, Confartigianato Trasporti, hanno revocato la protesta lo scorso 28 novembre, dopo la firma di un protocollo presso il ministero dei Trasporti con il quale il governo ha definito importanti interventi per la categoria». Lo ha dichiarato Paolo Ugge’, presidente di Unatras, la sigla che unisce le maggiori sigle italiane dell’autotrasporto, e presidente di Fai-Conftrasporto. 

Il Pd in campo  

«Una manifestazione di protesta, indipendentemente dalla legittimità delle motivazioni dei promotori e dalla rilevanza dei problemi sollevati, non può mai trasformarsi in una forma di intimidazione nei confronti di un’intera città». Lo affermano, in una nota, Gianfranco Morgando e Fabrizio Morri, segretari piemontese e torinese del Pd. Secondo Morgando e Morri, non sono «accettabili minacce nei confronti di commercianti e artigiani, e bene hanno fatto le più autorevoli associazioni di categoria a lanciare l’allarme. Auspichiamo che negli aderenti alla protesta prevalga il senso di responsabilità e siamo certi che le forze dell’ordine sapranno garantire sia la legalità sia la libertà di pensiero e di manifestazione. Siamo perfettamente consapevoli della gravità della situazione sociale e dei tanti problemi che cittadini, lavoratori e piccoli imprenditori si trovano ad affrontare in questa drammatica crisi. Il Pd è impegnato a costruire le risposte più adeguate alla gravità del disagio sociale ed economico, ma queste risposte non possono certo trovarsi in parole d’ordine estremiste ed in modalità di lotta populiste estranee al contesto democratico». 

Il Viminale in allerta  

Il Viminale segue con attenzione le fasi d’avvio della protesta. In base alle direttive del ministero dell’Interno, accanto all’opera di monitoraggio della protesta, si prevede la convocazione urgente da parte dei prefetti dei Comitati per l’ordine e la sicurezza. Le forze dell’ordine sono mobilitate per impedire innanzitutto limitazioni alla libera circolazione dei cittadini e delle merci, ma anche eventuali degenerazioni violente della protesta, destinata a protrarsi secondo gli organizzatori almeno sino al 13 dicembre. Allo stesso modo si provvederà alla rimozione di eventuali blocchi di nodi strategici per le comunicazioni, quali la rete stradale e autostradale, quella ferroviaria e gli aeroporti. 

La sfida delle sigle  

«Lo sciopero non sarà revocato. Noi lo attueremo. Ieri sera ci è arrivata la comunicazione da parte delle Prefetture di Catania, Ragusa, Siracusa e Messina che dice che ci è vietato tutto. Sono rispettoso delle istituzioni ma ci chiedono di fare le manifestazioni come fanno quelli della Cgil, Cisl e Uil. Purtroppo per noi è una manifestazione vera, non finta, quindi non possiamo adeguarci. Siamo disponibili a farci arrestare» rilancia da Catania il leader dei Forconi Mariano Ferro.  

L’escalation sul web  

I social network sono affollati di messaggi organizzativi e di protesta e sul blog «Fronte di liberazione dai banchieri» che pubblica la lista aggiornata delle iniziative in tutta Italia, si legge: «Non piu’ destra, non piu’ sinistra, non piu’ etichette, non piu’ finzioni nominalistiche ma attivita’ mirate a creare le premesse culturali e politiche per una Costituente di Popolo che sia alternativa reale ed organica agli schemi partitici e agli artifici ideologici. Momenti di lotta diretta a colpire le oligarchie di potere per le quali il rito del voto costituisce la legittimazione per continuare ad esercitare le loro angherie ai danni del Popolo».

FONTE: lastampa.it

mercoledì 4 dicembre 2013

I due Marò da febbraio 2012 in India: vittime di errori, ambiguità, incompetenza

I due Marò da febbraio 2012 in India: vittime di errori, ambiguità, incompetenza

Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due fanti di marina imbarcati sulla Enrica Lexie, accusati di avere ucciso dei pescatori (nessuno parla più di pirati) pagano una serie di errori che accomuna comandante, armatore, ministro degli Esteri, Governo e anche magistratura. E non se ne vede la fine

Il caso dei Marò italiani Massimiliano Latorre e Salvatore Girone dal febbraio 2012 prigionieri della problematica giustizia indiana, non ha appassionato molto, tranne lodevoli eccezioni come Mario Pirani, a sinistra, che ha lasciato alla destra il solitario compito di tutelarli come se difendere l’onore dei militari italiani non fosse cosa degna.

I due militari, Fucilieri di Marina del Battaglione San MarcoMassimiliano Latorre e Salvatore Girone, sono accusati dagli indiani di aver ucciso due pescatori indiani.
La loro vicenda credo meriti chiarimenti e considerazioni.
I chiarimenti riguardano il ruolo che rivestono i militari italiani imbarcati su navi mercantili battenti bandiera italiana, come la Enrica Lexie, di proprietà della Compagnia di trasporto marittimo Fratelli d’Amato.
Mi stupisce che qualcuno abbia avuto dubbi sull’iniziativa. È nella storia delle repubbliche marinare la predisposizione di unità militari per la difesa nelle rotte di navigazione seguite dal naviglio mercantile.
La Serenissima Repubblica di Venezia si è distinta nel corso dei secoli per aver mantenuto un potente dispositivo navale a garanzia della sicurezza delle aree marittime nelle quali navigavano le navi che trasportavano merci da e per i porti più lontani.
È, dunque, un interesse evidente dell’economia italiana che le nostre navi mercantili possano percorrere con sicurezza le rotte a rischio perché tutelate dalla nostra marina militare in vario modo, con la presenza in quei mari di unità armate o di uomini imbarcati sul naviglio civile.
A questo proposito, miei amici, reduci da una crociera mi hanno detto dell’accoglienza che, trovandosi la loro nave in acque pericolose, è stata riservata dai passeggeri, non solo italiani, ai fanti di marina imbarcati nel tratto di mare a rischio. Un’accoglienza che ha coinvolto anche i cittadini di altre nazioni.
La presenza di militari italiani sul naviglio mercantile è, dunque, doverosa.
Quanto all’intera vicenda sembra evidente che ci troviamo dinanzi ad un pasticcio che ha fatto perdere la faccia al nostro Paese.
In primo luogo perché il comportamento del comandante e dell’armatore doveva essere guidato dalle autorità militari italiane le quali avevano sconsigliato di entrare nelle acque territoriali indiane e nel porto di Kochi.
E qui c’è il problema della condizione giuridica delle acque nelle quali si è svolto l’incidente, non acque territoriali ma “Zona contigua” (24 miglia nautiche dalla costa), secondo il Maritime Zones Act del 1976, che fa parte integrante della “Zona economica esclusiva” che si estende per 200 miglia.
Su questa zona la giurisdizione penale indiana è stata estesa con atto unilaterale del codice di rito indiano.
Quale norma prevale, la norma internazionale o la normativa processuale indiana?
Non è la prima volta che ci troviamo ad affrontare un tale problema con gli stati rivieraschi mediterranei dove unilateralmente vengono ampliati i limiti delle acque sulle quali esercitare la giurisdizione. È accaduto ripetutamente con la Libia, accadeva spesso con la Croazia.
Rifuggiamo dalla prepotenza, ma in questo caso c’erano le condizioni per processare in Italia i nostri fucilieri, magari con la costituzione in giudizio dei parenti delle vittime o dell’India.
Invece abbiamo fatto una serie di figuracce, come quella della licenza dalla quale in un primo tempo si voleva che i due marò non tornassero in India nonostante la parola data, tra l’altro mettendo nei guai l’ambasciatore.
Queste vicende si risolvono trattati internazionali alla mano o in sede diplomatica. Nessuno stato avrebbe mollato suoi militari comunque in servizio. Non c’è bisogno di richiamare il caso del Cernis, quando i piloti americani responsabili di una strage i nostri giudici non li hanno visti neppure con il cannocchiale.
Occorreva una azione vigorosa, lineare con il diritto. Ad esempio perché la Procura della Repubblica di Roma non li ha imputati di un presunto omicidio, sia pure colposo e trattenuti in Italia?
Si ha l’impressione che abbiano pesato altre vicende, come quella della presunta corruzione nelle forniture di una azienda di Finmeccanica. Cose che si possono capire ma che non si possono ammettere quando è in gioco il prestigio del Paese di fronte ad uno stato, il Kerala, i cui governanti evidentemente hanno sfruttato il caso in vista delle elezioni.
Ambiguità italiote, come altre volte, a livello politico. Comportamenti che si pagano, cari.
FONTE: Salvatore Sfrecola (blitzquotidiano.it)

martedì 3 dicembre 2013

Corruzione, l'Italia 69esima al mondo. Migliora grazie alla legge Severino


Ai primi posti, nella graduatoria che premia i più onesti, i Paesi del Nord Europa e la Nuova Zelanda. La Grecia resta la peggiore dell'Unione europea, peggiora sensibilmente la Spagna colpita da crisi e scandali a corte. La Germania resta lontana dai migliori. Sull'Italia: "Compiuti sforzi strutturali"


La Grecia, a causa del rigore brutale e della crisi economica che la flagellano, resta il paese più corrotto nell'Unione europea, eppure migliora un po' la sua posizione. Peggiora invece la Spagna. Male l'Italia che è al 69mo posto (in una scala discendente che analizza 117 paesi del mondo), cioè a un piazzamento che Roma condivide con la Romania e il Kuwait. Tra i paesi 'grossi' della Ue la Germania è il meno corrotto però è comunque ben lontano dai più onesti o meno corrotti d'Europa e del mondo, i soliti primatisti: Danimarca, Nuova Zelanda, Finlandia, Svezia, Norvegia, Singapore, Svizzera, Australia, Canada. Ecco cosa ci dice l'ultima edizione del rapporto annuale diTransparency international, la Ong specializzata appunto nel valutare il coefficiente di corruzione nei singoli paesi del mondo.


L'Italia migliora comunque di tre posizioni rispetto all'anno scorso. Maria Teresa Brassiolo, Presidente di Transparency International Italia, non è stupita della leggera inversione di tendenza perché "si sono compiuti molti sforzi strutturali per migliorare la trasparenza e l’integrità del settore pubblico, a partire dal decreto 150, fino alla legge anticorruzione 190 e agli ultimi decreti sulla trasparenza e l’accesso civico. Il trend positivo è maggiormente visibile dai dati del Global Corruption Barometer 2013 che ci ha portati almeno a pari merito con Francia e Germania, in taluni segmenti anche meglio. Naturalmente dobbiamo


proseguire lo sforzo, ma il messaggio pare recepito. Resta l’uso disinvolto e spesso incompetente delle risorse pubbliche che creano debito, tasse e rabbia". Il testo della 190 è quello con il quale il parlamento delegava il Governo italiano a redigere delle misure per la prevenzione e la repressione della corruzione nella pubblica amministrazione, che poi sono confluite nel testo unico della Severino.

In Spagna - come riferisce Spiegel online che al tema dedica stamane un lungo servizio - la situazione è peggiorata soprattutto a causa di una serie di scandali che hanno pesantemente coinvolto la famiglia reale un tempo amatissima e popolarissima e diversi politici del partito di governo. Madrid quindi scivola giù di dieci posti al 40mo posto. La crisi economica, sottolinea il rapporto, ha comunque il suo ruolo nel declassamento iberico. Il Paese più corrotto della Ue resta la Grecia, eppure Transparency international sottolinea che il povero, iperindebitato Paese schiacciato dal rigore ordinato di fatto dalla Bundesbank, da Berlino e dalla Trojka (Ue-Fmi-Banca centrale europea) ha migliorato un po' la sua posizione: resta nel campo basso, cioè tra i più corrotti, ma sale dal 94mo all'80esimo posto. Finn Heinrich, esperto dell'organizzazione citato da Spiegel, sottolinea che la corruzione resta un problema per un paese ben più avanzato, industrializzato e nonostante tutto ricco, come il nostro: la corruzione in Italia "è un chiaro problema, il paese è al 69mo posto che condivide con l'instabile Romania ancora depauperata da 50anni del peggior tipo di comunismo da Gheorghiu-Dej al mostro Ceausescu, e con l'autoritario Kuwait.

Nell'insieme l'Eurozona si piazza comunque bene. La Germania è al dodicesimo posto ma perde un punto. L'Olanda all'ottavo, il Lussemburgo all'undicesimo posto, la Francia grande malato della moneta unica è come sempre al 22mo posto. I primi posti, le medaglie d'oro, come si diceva se le contendono Danimarca e Nuova Zelanda seguiti da Finlandia e Svezia. Tra i Paesi dove la situazione è sensibilmente peggiorata rispetto all'anno scorso sono Siria, Libia, Mali, Paesi investiti da guerre. Ma i più corrotti del mondo sono ancora Afghanistan, Corea del Nord e Somalia.

FONTE: repubblica.it

domenica 1 dicembre 2013

Casa, tutte le nuove tasse: rischio stangata nel 2015

Immagine Casa, tutte le nuove tasse: rischio stangata nel 2015

Una tassa diesel. Parte piano, poi mano mano accelera e arriva al massimo dei giri. Per un meccanismo perverso la Iuc, la nuova imposta comunale, nel giro di dodici mesi potrebbe diventare sulle prime case ben più pesante della vecchia Imu, quella pagata nel 2012 quando anche le abitazioni principali erano state chiamate alla cassa. Per capire quale sarà il destino del prelievo sulle case bisogna andare in ordine e incastrare, come in un puzzle, tutte le tessere. Partiamo dal 2013, l’anno in corso. L’Imu sulle prime case è stata cancellata. Non si pagherà, tranne in quei Comuni che hanno alzato l’aliquota oltre il livello base (4 per mille). In questi Municipi i cittadini saranno chiamati a versare il 40% dell’incremento. L’esborso massimo, insomma, sarà pari allo 0,8 per mille. Una mini-Imu da poche decine di euro. Su un immobile con una rendita catastale da 500 euro se ne verseranno 67 in tutto.
Ma già per il prossimo anno la musica cambia. Arriva la Iuc. Sulle prime case avrà un’aliquota compresa tra l’1 per mille e il 2,5 per mille e i Comuni riceveranno dal governo 500 milioni di euro da destinare alle detrazioni. Difficile sapere in anticipo come i sindaci decideranno di destinare questi soldi ai cittadini, ma la cifra, in media, consentirà uno sconto standard di 25 euro (secondo i calcoli di Uil e Cgia Mestre). Supponiamo che questo sia il caso «normale». Una prima casa con rendita catastale di 500 euro, allora, già l’anno prossimo potrebbe pagare tra 59 euro (ad aliquota 1 per mille) e 185 euro (ad aliquota 2,5 per mille). La stessa abitazione, nel 2012, con l’aliquota al 4 per mille e la detrazione fissa a 200 euro, avrebbe pagato solo 10 euro.
La vera stangata, tuttavia, rischia di arrivare nel 2015. All’interno della legge di Stabilità c’è infatti una vera e propria «pillola avvelenata».

Il dilemma dei sindaci Il tetto massimo del 2,5 per mille all’aliquota che i Comuni potranno fissare per la prima casa, vale solo per il 2014. Tra poco più di dodici mesi, nel 2015, sarà consentito ai sindaci aumentare il prelievo sulle abitazioni principali fino al 6 per mille. Non solo. Anche il finanziamento da 500 milioni di euro concesso per permettere ai primi cittadini di avere risorse da destinare alle detrazioni, è stato finanziato solo per un anno. Nel 2015 cesserà. Dunque, nel peggiore degli scenari, ossia con un’aliquota al 6 per mille e senza nessuna detrazione, la stessa casa con una rendita da 500 euro, si potrebbe trovare a dover pagare 504 euro di Iuc. Una vera e propria stangata. Molto, ovviamente, dipenderà dalle decisioni che Comune per Comune prenderanno i sindaci. Ma il loro spazio di manovra è decisamente limitato. L’aliquota massima della Iuc sulle «altre abitazioni» è stata fissata al 10,6 per mille. Lo stesso livello dell’Imu, tetto già toccato in molti Municipi. Questo significa che se i sindaci saranno alle prese, come spesso capita, con problemi di bilancio, avranno una sola strada da percorrere: aumentare la Iuc sulle prime case.

FONTE: Andrea Bassi (ilmessaggero.it)