Undicimilaquattrocentoquaranta euro di patrimonio per ogni famiglia
sono andati bruciati tra la fine del 2011, quando si insediò il governo
Monti, e il giugno dell’anno in corso. L’aggressione dello Stato alla
ricchezza dei nuclei familiari privati, che è anche l’unica vera
ricchezza dell’Italia, si è fatta più cruenta negli ultimi anni. La
conferma arriva dalle tabelle della Banca d’Italia sulla ricchezza delle
famiglie italiane, contenute nel recente supplemento al Bollettino
statistico.
I calcoli tra la fine del 2011 e i dodici mesi successivi sono
ufficiali. Per i primi sei mesi dell’anno in corso mancano invece numeri
definitivi. «Secondo stime preliminari», scrive comunque Bankitalia,
«nel primo semestre del 2013 la ricchezza delle famiglie sarebbe
ulteriormente diminuita rispetto alla fine del 2012», segnando un calo
in termini nominali pari all’«uno per cento» rispetto al dicembre
precedente.
Il risultato fa paura. Alla fine del 2011 la ricchezza netta
complessiva delle famiglie italiane era pari a 8.776 miliardi di euro.
Un anno dopo era scesa a quota 8.542 (il raffronto è fatto a prezzi
costanti 2012). In appena dodici mesi 234 miliardi se ne erano andati in
fumo: il 2,7% del totale. La successiva diminuzione pari all’1% circa,
segnata nel primo semestre del 2013, aggiunge altri 85 miliardi
all’ammanco.
Trasportato nelle contabilità delle singole famiglie, significa che
la ricchezza netta di ogni nucleo è scesa dai 365.341 euro della fine
del 2011 ai 357.476 euro del dicembre 2012. Un impoverimento di 7.865
euro, che a giugno 2013 è salito a circa 11.440 euro. A questa cifra,
dunque, ammonta la distruzione del patrimonio della famiglia media
italiana dal mese seguente all’insediamento di Mario Monti a palazzo
Chigi sino al terzo mese successivo all’entrata in carica del governo
Letta.
A livello pro capite, la ricchezza è scesa dai 147.754 euro del
dicembre 2011 ai 143.124 della fine del 2012, sino ai circa 141.693 euro
del giugno 2013 (sempre considerando per i primi sei mesi dell’anno un
calo pari all’1%). In appena un anno e mezzo, dunque, il patrimonio
dell’italiano medio si è contratto di 6.061 euro.
La tabelle della Banca d’Italia non si addentrano nelle cause
“politiche” dell’impoverimento. Che però non sono difficili da
individuare. Il primo responsabile è il fisco. La causa principale della
diminuzione della ricchezza delle famiglie va trovata nel crollo dei
prezzi del mattone. «Alla fine del 2012», scrivono gli economisti di via
Nazionale, «la ricchezza abitativa detenuta dalle famiglie italiane
superava i 4.800 miliardi di euro; tale valore registrava una flessione
del 3,9 per cento rispetto all’anno precedente (-6 per cento in termini
reali)». A partire da quell’anno il prezzo di mercato degli immobili è
stato depresso dall’introduzione dell’Imu sulla prima casa, anticipata
«in via sperimentale» (grazioso eufemismo) dal governo Monti. Gli
effetti del fisco si sono sommati così a quelli della crisi economica.
Processo che è continuato nell’anno in corso: «Secondo i dati
dell’Istat», avverte la Banca d’Italia, «nella prima metà del 2013 i
prezzi degli immobili sono diminuiti del 2,1 per cento rispetto alla
fine del 2012».
L’altro impatto, il fisco l’ha avuto sulla capacità delle famiglie
italiane di mettere soldi da parte. Sotto la voce «risparmio», infatti, i
conteggi fatti a via Nazionale tengono conto della variazione del
patrimonio dovuta ai trasferimenti in conto capitale, che comprendono le
imposte sul patrimonio, incluse quelle sulle donazioni e le
successioni. Nel 2012, per il settimo anno consecutivo, gli italiani
hanno risparmiato meno del precedente, riuscendo a mettere da parte 36
miliardi di euro; per avere un raffronto, alla fine degli anni Novanta
la capacità di risparmio delle famiglie ammontava a cento miliardi di
euro attuali.
Se non intervengono colpi di scena, il finale della storia è già
scritto. Soprattutto a causa delle imposte, gli italiani riescono a
risparmiare sempre meno. E per colpa della pressione fiscale che grava
sulle case, il valore del patrimonio immobiliare delle famiglie si
riduce ogni anno di più. In un Paese caratterizzato da un settore
pubblico indebitatissimo, la ricchezza privata è l’unico asset che fa la
differenza con i Paesi realmente poveri. La scelta di aggredire gli
assi ereditari provenienti dalle generazioni passate, di trasferire ogni
anno quote di patrimonio dal privato al pubblico, che le usa per
finanziare la spesa corrente, cioè per bruciarle, è la peggiore che un
governo possa prendere, perché impedisce il passaggio di questo
patrimonio alle prossime generazioni e le condanna a un futuro di
miseria.
FONTE: Fausto Carioti (liberoquotidiano.it)